La natura del sottotetto di un edificio condominiale è, in primo luogo, determinata dai titoli, e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune se, avuto riguardo alle caratteristiche strutturali e funzionali, esso risulti oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, quale può essere, ad esempio, la funzione di isolamento termico. È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 333/2017, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 10.1.2017,
n. 333
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1. Nel 1996 M.C., proprietaria di un appartamento al secondo piano del condominio di Via …, convenne in giudizio M.D.S., proprietaria di altro appartamento sito al secondo piano del medesimo fabbricato, per ottenere la condanna della convenuta alla rimozione delle opere realizzate nel sottotetto, asseritamente lesive della proprietà condominiale e di quella esclusiva dell’attrice, e al risarcimento del danno, o, in subordine, al pagamento dell’indennità di cui all’art. 1127 cod. civ. La convenuta M.D.S. eccepì il difetto di legittimazione attiva dell’attrice e la prescrizione del diritto ex adverso azionato, in quanto le opere erano state realizzate molto tempo addietro.
1.2. Il Tribunale di Campobasso, con sentenza in data 6 marzo 2007, accolse parzialmente la domanda e condannò la convenuta a provvedere alla rimessione in pristino con riferimento agli interventi eseguiti sui vani sottotetto, rigettando la domanda risarcitoria.
2. La Corte d’appello, con sentenza depositata il 3 dicembre 2011 e notificata il 4 aprile 2012, ha confermato la decisione rilevando che l’appellante M.D.S. non aveva provato la fondatezza dell’eccezione di prescrizione del diritto ex adverso azionato; che, nel silenzio dei titoli, doveva presumersi la proprietà condominiale sia dell’atrio-corridoio sia della porzione di sottotetto sovrastante l’atrio-corridoio, entrambi interessati dai lavori eseguiti dalla M.D.S. in assenza di autorizzazione dell’assemblea condominiale; che tali lavori erano consistiti nella rimozione del solaio di calpestio ligneo e nella sua sostituzione con uno in latero-cemento posizionato ad una quota inferiore, nella realizzazione di un’apertura che conduceva dalla soffitta di proprietà esclusiva M.D.S. all’altra porzione, composta da due vani “intrafficabili”, e di una ulteriore apertura nel muro che divideva i due vani anzidetti.
3. Per la cassazione della sentenza M.D.S. ha proposto ricorso sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso M.C..
1. Il ricorso è infondato.
(omissis)
2. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1117-1122 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione circa il fatto controverso e decisivo della individuazione del regime di proprietà del vano sottotetto e delle facoltà del singolo condomino sulle parti comuni dell’edificio.
La ricorrente contesta che la Corte d’appello abbia considerato di proprietà condominiale la porzione di sottotetto costituita da due vani “intrafficabili”, non destinati all’uso comune né all’esercizio di un servizio di interesse condominiale, che erano già indicati, come evidenziato dal CTU, nella planimetria del 1940. Discorso analogo varrebbe per il lucernaio realizzato dalla M.D.S., tanto più che la Corte d’appello non aveva motivato sulla illegittimità dello stesso, ignorando la censura in proposito formulata, e per le aperture realizzate nel vano sottotetto, a proposito delle quali la Corte territoriale non aveva chiarito in quale modo le opere indicate potessero produrre danni al fabbricato condominiale o alle parti comuni, o limitare i diritti degli altri condòmini.
2.1. La doglianza è infondata sotto più profili.
La Corte d’appello ha accertato che i vani in questione, i quali coprono parti comuni dell’edificio (atrio e corridoio) e non sono accessibili, svolgono funzione di isolamento termico ed ha concluso che gli stessi, in assenza di titoli, costituiscono pertinenza comune.
L’accertamento così compiuto è conforme al principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli, e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune se, avuto riguardo alle caratteristiche strutturali e funzionali, esso risulti oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (ex plurimis, da ultimo, Cass., sez. 6-2, ord. n. 17249 del 2011).
L’argomento difensivo della ricorrente, che assume che almeno una parte dei predetti vani sottotetto sarebbe di sua proprietà esclusiva in quanto accessibile soltanto dal suo appartamento, è smentita dall’accertamento della Corte d’appello dal quale emerge che l’accesso in questione è stato realizzato dalla ricorrente.
Il profilo di censura con il quale denuncia l’erroneità della decisione della Corte d’appello perché contrastante con i dati che emergerebbero dalle planimetrie catastali attinge alla valutazione dei documenti, e quindi al merito della controversia, sollecitando un riesame che è precluso al giudice di legittimità.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio, come in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.