Anche prima della riforma del 2012 il sottotetto era da ricomprendersi tra le parti comuni, e ad escluderne la condominialità era necessario un titolo contrario vantato o rivendicato dal proprietario di una delle unità immobiliari. Questa, in estrema sintesi, la posizione espressa dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 2860/2020, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 17.2.2020,
n. 3860
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La C.M. s.r.l. ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 2425/2015 della Corte d’appello di Milano, depositata il 9 giugno 2015.
Hanno resistito con controricorso G.F., S.L. (e altri). Non hanno svolto attività difensive gli altri intimati U.L. spa (e altri).
Con citazione del 19/20 novembre 2003, la C.M. s.r.l. (all’epoca utilizzatrice in leasing di due unità immobiliari comprese nell’edificio condominiale di via …, poi acquistate in proprietà il 14 gennaio 2013) convenne in giudizio i condòmini G.F., S.L. (e altri), perché venisse accertato il diritto di proprietà pro quota dei locali sottotetto costituenti parte comune del fabbricato.
Tali sottotetti risultavano, per quanto dedotto dall’attrice, occupati dai signori G.F., S.L, eredi di A.L., giacché trasformati in abitazione e frazionati.
I convenuti domandarono in via riconvenzionale l’accertamento della proprietà esclusiva dei sottotetti loro spettante, per le rispettive quote di provenienza ereditaria.
L’adito Tribunale di Milano, con sentenza del 7 marzo 2007, respinse le domande della C.M. s.r.l, dichiarando i sottotetti enti non condominiali, e piuttosto rientranti nella proprietà esclusiva dapprima di A.L. e poi dei suoi eredi.
Proposero appelli in via principale la C.M. s.r.l. ed in via incidentale i convenuti G.F. e S.L… Entrambe le impugnazioni vennero rigettate dalla Corte d’appello di Milano con sentenza del 9 giugno 2015, che considerò innanzitutto come il sottotetto di un edificio in condominio non fosse incluso, prima della riforma del 2012, nell’elenco delle parti comuni indicate dall’art. 1117 c.c.; quindi aggiunse che il contratto del 2 febbraio 1979, intercorso tra la F. s.r.l. e l’originario unico proprietario A.L., non recasse elemento alcuno tale da far considerare i sottotetti parti comuni per volontà dei contraenti; inoltre, sottolinearono i giudici di secondo grado, i sottotetti neppure rientravano tra le “cose di proprietà comune” contemplate dal regolamento approvato dall’assemblea del 17 ottobre 1988. Circa la domanda riconvenzionale di accertamento pro quota dei rispettivi sottotetti nei rapporti tra i convenuti G.F. e S.L., la Corte d’appello reputò sussistente il “difetto di instaurazione del contraddittorio” fra tutti i partecipanti alla comunione, trattandosi di “azione di divisione ereditaria”.
(omissis)
Il primo motivo di ricorso della C.M. s.r.l. denuncia la “insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia”, nonché la violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione degli artt. 1117 e 2697 c.c., in relazione alla qualificazione del sottotetto quale parte comune già prima della riforma ex I. n. 220/2012.
Il secondo motivo di ricorso della C.M. s.r.l. denuncia la “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione alla omessa considerazione di quei fatti incompatibili con l’esclusione della natura condominiale dei sottotetti”.
I due motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente, in quanto evidentemente connessi, e risultano fondati nei limiti di seguito precisati.
(omissis)
Si controverte comunque di un sottotetto compreso nell’edificio di via …. Tale bene non era effettivamente nominato in modo espresso nell’elenco esemplificativo contenuto nell’art. 1117 c.c., stando alla formulazione applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220.
Secondo, tuttavia, la consolidata interpretazione di questa Corte, che la sentenza impugnata ha del tutto trascurato, sono comunque oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (in tal senso, peraltro, testualmente integrato, con modifica, in parte qua, di natura interpretativa, proprio dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220) i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune (omissis).
Altrimenti, soltanto ove non sia evincibile il collegamento funzionale, ovvero il rapporto di accessorietà supposto dall’art. 1117 c.c., tra il sottotetto e la destinazione all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, giacché lo stesso sottotetto assolve all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non ha dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, esso va considerato pertinenza di tale appartamento.
La proprietà del sottotetto si determina, dunque, in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto: nel caso in esame, la Corte di Appello di Milano non ha compiuto alcun accertamento sulle funzioni e sulle caratteristiche strutturali del locale sottotetto, né, al contrario, sulla destinazione pertinenziale dello stesso a servizio di appartamenti di proprietà esclusiva, erroneamente supponendo che la natura condominiale di tale bene dovesse negarsi soltanto perché non stabilita convenzionalmente nel contratto del 2 febbraio 1979 o nel regolamento condominiale.
Ove dunque il sottotetto dell’edificio di via …, risultasse destinato, per sue caratteristiche funzionali e strutturali, all’uso comune, occorrerà verificare il momento di costituzione del condominio, con riferimento all’atto con cui l’originario unico proprietario ne operò il frazionamento, alienando ad un terzo la prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione (che non è dato comprendere univocamente se fosse proprio il contratto tra A.L. e la F. s.r.l. del 2 febbraio 1979). In presenza di un sottotetto posto in rapporto di accessorietà con l’intero edificio o parte di esso, e dunque di uso comune, e non invece destinato pertinenzialmente ad una determinata unità immobiliare di proprietà individuale, per escluderne la condominialità si dovrà accertare che il titolo costitutivo del condominio, ovvero il primo atto di trasferimento di una porzione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, recasse una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente al venditore o ad uno dei condòmini la proprietà di detta parte, sì da escluderne gli altri (omissis).
La circostanza che gli atti di vendita, come le correlate note di trascrizione, non contenessero espressa menzione del trasferimento della comproprietà dei sottotetti, se destinati all’uso comune, non è in alcun modo sufficiente a superare la presunzione posta dall’art. 1117 c.c., la quale, al contrario, comporta che all’atto stesso consegua l’alienazione, unitamente alla porzione esclusiva, della corrispondente quota di condominio su dette parti comuni. Stando, infatti, al consolidato orientamento di questa Corte, una volta accertata la sussistenza di una situazione di condominio di edifici, le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà individuale estendono i loro effetti, secondo il principio “accessorium sequitur principale”, alle parti comuni necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprietà solitaria (omissis).
Secondo uniforme interpretazione giurisprudenziale, spetta in ogni caso al condomino, che pretenda l’appartenenza esclusiva di un bene, quale appunto un sottotetto destinato all’uso comune, compreso tra quelli elencati espressamente o per relationem dall’art. 1117 c.c., dar prova della sua asserita proprietà esclusiva derivante da titolo contrario (non essendo determinanti, a tal fine, né le risultanze del regolamento di condominio, né l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino, né i dati catastali); in difetto di tale prova, infatti, deve essere affermata l’appartenenza dei suddetti beni indistintamente a tutti i condomini.
(omissis)
Il ricorso principale deve pertanto essere accolto, nei limiti indicati in motivazione, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, la quale terrà conto dei rilievi svolti e si uniformerà ai richiamati principi, provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
La Corte accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.