Con la sentenza 17346/2020, di cui riportiamo un estratto, la Cassazione ha respinto il ricorso di due condòmini, imputati per il reato di atti persecutori ai danni di un vicino di casa. La persona offesa aveva assunto un investigatore, che aveva puntualmente ripreso le condotte dei persecutori. Legittima l’acquisizione dei Dvd prodotti, poiché gli episodi si sono realizzati in luoghi aperti al pubblico e dal sonoro e dalle immagini registrate è emersa la verità dei fatti così come narrata dalla persona offesa.
E peraltro, la Cassazione richiama il principio secondo cui non sono configurabili come interferenze illecite nella vita le riprese a distanza, finalizzate esclusivamente alla captazione di quanto avvenga in spazi che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano, però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 17346/2020
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1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Mantova del 13.11.2015, appellata dall’imputato A.V., dal Procuratore Generale e dalla parte civile, ha condannato F.M. alla pena di mesi sette di reclusione e al risarcimento dei danni, ribaltando la sentenza di primo grado che l’aveva assolta, ed ha confermato la condanna di A.V. alla pena di mesi sette di reclusione oltre al risarcimento dei danni alla parte civile R.A., vicino di casa degli imputati. Entrambi gli imputati rispondono della contestazione di atti persecutori ai danni della suddetta persona offesa, per aver compiuto varie azioni intimidatorie, occupando un’area comune con il loro camper, nonché con ingiurie e minacce gravi, anche di morte, e un tentativo di investimento; le condotte si sono protratte dal 1.8.2011 al 9.6.2013 ed è stato accertato dai giudici di merito che esse hanno arrecato un grave stato di ansia e paura alla vittima, nonché un fondato timore per la propria incolumità.
(omissis)
2. Avverso la sentenza d’appello ricorrono gli imputati, tramite il difensore, avv. T., deducendo plurimi motivi di ricorso.
2.1. Il primo argomento di censura indica violazione di legge in relazione all’art. 603 cod. proc. pen. ed al mancato accoglimento delle richieste istruttorie proposte dalla difesa degli imputati, nonché manifesta illogicità e mancanza della motivazione relativa.
La Corte d’Appello avrebbe rigettato le richieste di prova formulate dagli imputati e avrebbe dedotto illogicamente, dalla condanna della parte civile (e della sua compagna) per il reato di minaccia grave commessa ai danni dello stesso imputato A.V., la preesistenza di offese e molestie da parte di quest’ultimo nei suoi confronti.
Egualmente illogica si rivelerebbe la motivazione con cui sono state rigettate le richieste di perizia e consulenza di parte per provare che la persona offesa abbia posto in essere un’attività di illecita intercettazione ed interferenza nella vita privata degli imputati, provata peraltro da alcune registrazioni su supporto DVD prodotte dall’accusa nel processo, come documento proveniente dalla persona offesa.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge in relazione all’art. 191 cod. proc. pen. per avere i giudici di merito fondato la propria decisione di rigetto della richiesta di perizia su prove inutilizzabili costituite da videoregistrazioni realizzate in luoghi di privata dimora, vietata in modo assoluto dall’art. 615-bis cod. pen., che ne sancisce l’illiceità.
(omissis)
2.4. La quarta censura ha ad oggetto i vizi di violazione di legge e motivazione manifestamente illogica o mancante quanto alla affermazione di responsabilità dell’imputato A.V., per l’inidoneità del provvedimento impugnato a rappresentare le ragioni sulla base delle quali è stata ritenuta la credibilità e attendibilità della persona offesa, senza tener conto della sua condanna per il reato di minaccia nei confronti dell’imputato.
(omissis)
1. Il ricorso è inammissibile, sia perché nella gran parte formulato in fatto, sia perché complessivamente anche manifestamente infondato.
2. Il primo ed il secondo motivo possono essere trattati congiuntamente e sono manifestamente infondati.
La Corte d’Appello ha dettagliatamente ricostruito la vicenda e le fonti di prova che hanno portato ad affermare la responsabilità degli imputati.
Inoltre, i giudici di secondo grado hanno risposto alla richiesta di acquisizione delle consulenze tecniche di parte volte a provare la riconducibilità delle videoregistrazioni ad apparecchiature illegalmente installate nell’abitazione dei ricorrenti dagli investigatori privati assunti dalla persona offesa su mandato di questa con una motivazione ampia che spiega come non siano mai emersi elementi dai quali poter desumere una simile circostanza, ma anzi le videoriprese si è accertato che sono state girate dall’esterno dell’abitazione e dirette a parti di essa accessibili dall’esterno, sicché devono ritenersi legittimamente acquisite come documenti.
Ed infatti, da un lato, le Sezioni Unite, con la pronuncia Sez. U., n. 26795 del 28/3/2006, hanno affermato che le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei “documenti” di cui all’art. 234 cod. proc. pen., mentre, se eseguite dalla polizia giudiziaria, anche d’iniziativa, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 cod. proc. pen. e, trattandosi della documentazione di attività investigativa non ripetibile, possono essere allegate al relativo verbale e inserite nel fascicolo per il dibattimento.
Dall’altro, in concreto, sono state archiviate le posizioni di R.A. e A.C. – quest’ultimo investigatore privato incaricato dalla persona offesa di effettuare videoriprese utili alla prova di quanto subiva – per il reato di cui all’art. 615-bis cod. pen..
(omissis)
Del resto, il reato di cui all’art. 615-bis cod. pen. (interferenze illecite nella vita privata) non è configurabile per il solo fatto che si adoperino strumenti di osservazione e ripresa a distanza, nel caso in cui tali strumenti siano finalizzati esclusivamente alla captazione di quanto avvenga in spazi che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano, però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei (Sez. 5, n. 44156 del 21/10/2008).
(omissis)
4. Il quarto argomento eccepito dalla difesa del ricorrente è manifestamente infondato poiché la Corte d’Appello ha dedicato ampia parte della motivazione ad esaminare puntualmente ed in maniera logica ed approfondita i profili di credibilità e attendibilità delle testimonianze della persona offesa e di sua moglie C.S., coerenti tra loro, reciprocamente, quindi, rafforzative l’una dell’altra e, infine, confortate anche dall’ulteriore testimonianza dei due investigatori privati, A.C. ed il suo collaboratore L.C..
Inoltre, formidabile riscontro alle dichiarazioni della persona offesa è costituito dai contenuti della prova documentale: i DVD, con le relative trascrizioni dei dialoghi, nelle quali si confermano i numerosi insulti e le reiterate minacce poste in essere dall’imputato ai danni della vittima.
(omissis)
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna altresì i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 2.500, oltre accessori come per legge.