A cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò
I singoli proprietari del condominio si possono legittimamente opporre al sequestro preventivo dell’edificio, qualora siano completamente estranei all’attività, penalmente rilevante, compiuta dall’amministratore?
A questo interrogativo ha dato risposta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 33092 del 15 luglio 2021.
Il primo comma dell’art. 321 c.p.p. sancisce che “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari”.
Detta norma trova applicazione nella vicenda posta al vaglio degli Ermellini; nel caso in esame, infatti, un immobile condominiale sito in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico veniva sottoposto a sequestro penale preventivo per alcune opere abusive in fase di realizzazione.
Contro il decreto di sequestro veniva proposta richiesta di riesame dinanzi al Tribunale di Roma dalle associazioni che erano proprietarie di buona parte del fabbricato e con ordinanza del 22 marzo 2021 veniva confermata la misura cautelare.
A questo punto, la vicenda approdava in Cassazione, davanti alla quale il ricorrente sosteneva che i beni non appartenenti agli indagati non potevano essere oggetto di sequestro preventivo.
Il Tribunale Supremo confermava la legittimità del sequestro preventivo disposto a carico di un bene non di proprietà dell’indagato.
Secondo la Suprema Corte, “nell’ipotesi di sequestro disposto ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., per impedire che la libera disponibilità di un bene possa aggravare o protrarre le conseguenze di un reato, difatti, non rileva la circostanza che esso appartenga a un terzo estraneo alla commissione del reato e in buona fede”.
Inoltre, gli Ermellini sottolineavano che “il sequestro preventivo può avere ad oggetto beni appartenenti a terzi estranei al reato, purché il giudice effettui una pregnante valutazione del “periculum in mora”, sia pure in termini di semplice probabilità del collegamento di tali beni con le attività criminose dell’indagato, sulla base di elementi che appaiano concretamente indicativi della loro effettiva disponibilità da parte di quest’ultimo”.
In base ai suddetti principi, i giudici di legittimità dichiaravano il ricorso inammissibile.