Le liti in condominio – come è noto – sono estremamente frequenti. Alcune, tuttavia, degenerano e rischiano di finire in tragedia. È il caso di quella presa in esame dalla Cassazione con l’ordinanza 37931/2019, nella quale è stata confermata la condanna a carico di un condomino che ne aveva accoltellato quasi a morte un altro.
———————
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 37931/2019
———————
Con sentenza emessa il 17/04/2018 la Corte di Appello di Brescia confermava la condanna ad anni cinque e mesi quattro di reclusione inflitta a C.G. dal GUP del Tribunale di Bergamo per tentato omicidio. Rilevava la Corte di Appello che il 05/07/2015 in … avveniva una lite in un condominio, nel corso della quale restava accoltellato M.I. agli arti, al petto e all’addome: la ferita all’addome, in particolare, era stata penetrante ed aveva richiesto un intervento chirurgico di urgenza; subito veniva indicato l’imputato quale autore del fatto ed egli aveva dichiarato che la vittima si era recata a casa sua e, d’improvviso, gli aveva spruzzato in viso uno spray urticante, costringendolo a difendersi con un coltello; emergeva un quadro di risalenti dissapori tra i due uomini, di ingiurie e di minacce reciproche: le testimonianze dei condòmini e le dichiarazioni della persona offesa consentivano di ricostruire la dinamica dell’accaduto, grazie anche ad una registrazione sonora effettuata dalla vittima; così, anche sulla base delle tracce ematiche rinvenute, si escludeva che la narrazione dell’imputato fosse veritiera e si accertava che l’imputato aveva usato un coltello con lama seghettata lunga cm 11: i colpi erano stati reiterati, in direzione di zone di organi vitali ed idonei ad uccidere, tanto che l’evento mortale si era evitato per mera casualità; pertanto era corretta la qualificazione di tentato omicidio connotato dal dolo alternativo. Il mendacio e la grave condotta impedivano di riconoscere le circostanze attenuanti generiche o la provocazione da parte della vittima.
Avverso detta sentenza propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione: sostiene che la ricostruzione dei fatti era viziata dal fatto che non erano state considerate le prove dei continui disturbi della vittima nei confronti del ricorrente né l’evidente provocazione orchestrata ai danni di quest’ultimo; che la Corte territoriale aveva ignorato diverse parti delle frasi registrate; che non era stata considerata la necessità di difendersi dall’ennesima aggressione; che era errata la qualificazione dei fatti anche perché si era ignorata la tematica della difesa legittima e quella della provocazione, giungendosi così ad una pena incongrua per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso è inammissibile.
(omissis)
La sentenza impugnata ha invece correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, con una motivazione congrua, logica e priva di erronea applicazione della legge penale e processuale: nessun profilo di illegittimità può infatti fondatamente ravvisarsi nella decisione impugnata, la quale risulta chiara nel descrivere la condotta del ricorrente, il suo atteggiamento prevaricatore, l’offesa portata all’avversario e le connotazioni pericolose della ferita inferta. Parimenti è stata data adeguata ragione del credito attribuito ai testimoni presenti, al contrario di quanto valutato per la madre del ricorrente: e ciò sia sulla base delle tracce ematiche riscontrate sia sulla base della registrazione sonora dell’accaduto, che smentiva in più punti il ricorrente e che dimostrava come fosse stato lui ad aggredire sostanzialmente la vittima; con ciò si escludeva tanto la necessità di una difesa, poiché nessuna azione aggressiva era stata portata contro il ricorrente, quanto la possibilità di riconoscere una provocazione.
(omissis)
Dal punto di vista soggettivo, l’animus necandi è stato inferito da un compendio che imponeva tale giudizio, poiché ritenuto correttamente dotato di inequivoca incidenza dimostrativa: questa Corte ha sempre indicato, tra i parametri valutativi, quelli attinenti alla potenzialità offensiva dell’arma, alla distanza da cui fu colpita la vittima, alle zone attinte, alla forza impressa ai colpi, al numero di essi ed alla direzione degli stessi, tutti fattori deponenti, senza possibilità di errore, per una manifesta volontà diretta di uccidere (Sez. 1, n. 32851 del 10.06.2013).
(omissis)
Per queste ragioni, il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinabile in euro 3.000, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 3.000 alla Cassa delle Ammende.