Avendo la funzione di preservare l’edificio condominiale dagli agenti atmosferici, il tetto è parte comune i cui costi di manutenzione vanno ripartiti tra tutti i condòmini, ivi compresi quelli il cui appartamento non si trova sotto la proiezione verticale del tetto stesso. Così ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza 24927 del 7 ottobre 2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 7.10.2019,
n. 24927
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L.L. ha proposto ricorso articolato in unico motivo (errata applicazione degli artt. 1123, ult. co ., e 1126 c.c.; error in procedendo in relazione agli artt. 167 e 115 c.p.c.; omesso esame di fatto decisivo) avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia n. 852/2017 del 21 novembre 2017.
L’intimato Condominio …, non ha svolto attività difensive.
La Corte di Perugia, pur parzialmente accogliendo il gravame avverso la pronuncia di primo grado in ordine alla rettifica della Tabella H del Condominio …, ha comunque rigettato il secondo motivo di appello, e così confermato quanto deciso dal Tribunale di Perugia sulla impugnativa di deliberazione assembleare del 22 giugno 2007, ravvisando l’obbligo della condomina L.L. di concorrere alle spese di manutenzione del tetto del fabbricato, in quanto strutturalmente destinato anche alla protezione dell’atrio comune, seppur non sovrastante alcuna unità immobiliare di proprietà esclusiva L.L..
La ricorrente evidenzia che in tal modo la Corte di Perugia si è posta in contrasto col principio affermato da Cass. n. 11484/2017, non rinvenendosi alcuna “comunione della copertura” ex art. 1117 c.c., coinvolgente le proprietà L.L., in relazione al tetto, in quanto le unità immobiliari appartenenti alla ricorrente non si trovano al di sotto della proiezione verticale del medesimo tetto oggetto di ristrutturazione.
(omissis)
La decisione della Corte d’Appello di Perugia è conforme all’orientamento di questa Corte, secondo cui le parti dell’edificio in condominio – quali, nella specie, muri e tetti – (art. 1117, n. 1, c.c.) ovvero le opere ed i manufatti – fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3, c.c.) – deputati a preservare l’edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d’acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione necessaria all’uso collettivo, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell’art. 1123 c.c., non ricomprendendosi, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condòmini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all’art. 1123, secondo e terzo comma, c.c..
La ripartizione delle spese di manutenzione proporzionate all’uso delle cose comuni o correlate all’utilità che se ne tragga non si giustifica, infatti, con riferimento a quelle parti, come il tetto (o la facciata), che costituiscono le strutture essenziali ai fini dell’esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato e che sono destinate a servire in maniera eguale ed indifferenziata le varie unità immobiliari dell’edificio (Cass. Sez. 2, 03/01/2013, n. 64; Cass. Sez. 2, 04/05/1999, n. 4403; Cass. Sez. 2, 29/04/1993, n. 5064; Cass. Sez. 2, 27/11/1990, n. 11423; Cass. Sez. 2, 22/12/2014, n. 27154).
In un risalente precedente, si spiegava ancor meglio come il principio della proporzione fra quota di proprietà e concorso nei vantaggi e nei pesi della cosa comune vige allo stato puro nella comunione, mentre non è sufficiente nel condominio, giacché, essendo tale istituto caratterizzato dalla coesistenza di un regime di comunione con molteplici proprietà individuali, l’intensità del godimento delle cose ed impianti comuni da parte dei condòmini può obiettivamente risultare diversa a seconda del rapporto in cui con quelle cose ed impianti si trova (di fatto) il bene oggetto di proprietà esclusiva; di tal che, in sede di riparto delle spese di manutenzione del tetto, quel che veramente rileva non è tanto l’appartenenza del tetto medesimo ad alcuni o a tutti i condòmini, quanto la funzione di copertura, senza che con ciò, peraltro, si possa dire che solo i proprietari dei vani posti nella verticale sottostante alla zona da riparare siano tenuti alla relativa spesa, poiché non può, almeno in linea generale, ammettersi una ripartizione per zone di un medesimo tetto (Cass. Sez. 2, 06/07/1973, n. 1923).
Neppure trova perciò applicazione il regime sulle spese stabilito dall’art. 1126 c.c. (cui si riferisce Cass. Sez. 6 – 2, 10/05/2017, n. 11484), il quale disciplina soltanto le riparazioni o ricostruzioni del lastrico solare, propriamente inteso, di uso esclusivo, ossia di quella superficie terminale dell’edificio dotata di accessibilità ed adibita, quale accessorio, oltre che alla funzione di copertura, alla utilizzazione esclusiva di uno degli appartamenti in forza di diritto, di carattere reale o personale, che risulti dal titolo.
Solo allorquando il tetto dell’edificio in condominio è di proprietà esclusiva di uno dei partecipanti, si è ritenuto in giurisprudenza che le spese di manutenzione dello stesso dovessero ripartirsi con i criteri di cui all’art. 1126 c.c., come, appunto, stabilito per i lastrici solari di uso esclusivo (Cass. Sez. 2, 30/01/1985, n. 532).
La Corte d’Appello di Perugia ha altresì apprezzato in fatto che, per le caratteristiche strutturali e funzionali dell’edificio, il tetto del fabbricato, oggetto dell’intervento manutentivo, è destinato anche alla protezione dell’atrio comune, e da ciò ha tratto la coerente conseguenza che tutti i condomini siano interessati alla riparazione del medesimo tetto (in tal senso, già Cass. Sez. 2, 29/04/1968, n. 1352).
Né risulta imputabile alla sentenza impugnata l’omesso esame, ex art. art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., atteso che il fatto storico, rilevante in causa, è stato comunque preso in considerazione dalla Corte d’Appello, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Il ricorso va perciò rigettato. Non occorre regolare le spese del giudizio di cassazione, in quanto l’intimato non ha svolto attività difensive.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso.