La sostituzione di una finestra con una porta-finestra per accedere direttamente al terrazzo condominiale e apporvi propri manufatti e arredi, porta a un impiego della parte comune non assimilabile ad un mero uso intensivo consentito. E bene ha fatto l’amministratore a perseguire l’interesse comune, in quanto nei suoi poteri, devono rientrare le controversie aventi ad oggetto proprio la disciplina delle cose comuni. È quanto disposto dalla Cassazione con la sentenza 21538/2016, di cui riportiamo un estratto
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 25.10.2016,
n. 21538
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I.I.V. impugnava innanzi al Tribunale di Roma la delibera assembleare del Condominio di via … volta alla regolamentazione dell’uso comune del terrazzo condominiale.
Nella resistenza del Condominio, che svolgeva domanda riconvenzionale, l’adito Tribunale – con sentenza n. 159/2004 – rigettava la domanda attrice di impugnazione ed, in parziale accoglimento della proposta domanda riconvenzionale, ordinava alla I.I.V. di non apporre arredi o quant’altro di pertinenza del proprio appartamento sul terrazzo condominiale e la condannava alla refusione delle spese di lite.
Avverso la succitata sentenza, di cui chiedeva la riforma, interponeva appello la I.I.V..
(omissis)
L’adita Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 1739/2011 rigettava l’appello principale ed, in accoglimento dell’impugnazione incidentale, ordinava alla I.I.V. di sostituire con una finestra la porta finestra esistente collegante il di lei appartamento al lastrico solare condominiale, con condanna della stessa appellante alla refusione delle spese.
Avverso la suddetta decisione della Corte capitolina ricorre la I.I.V. con atto affidato a otto ordini di motivi.
Resiste con controricorso l’intimato condominio.
(omissis)
4. Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c..
Anche con tale censura si ripropone una doglianza già oggetto del quarto motivo appello.
La questione dell’uso più intenso o meno rapportato alla circostanza della apposizione sul comune terrazzo di arredi, piante ed altro.
La sentenza della Corte distrettuale non è incorsa nei denunciati vizi lamentati dalla parte ricorrente che sostiene che la decisione gravata non avrebbe reso conto dei vari profili della doglianza, omettendo la dovuta pronuncia.
La censura è del tutto infondata.
La decisione della Corte territoriale ha adeguatamente risposto alla doglianza e l’uso della parte comune attuato e preteso dalla ricorrente non poteva per nulla ritenersi nell’ipotesi consentito.
Il motivo deve, pertanto, essere respinto.
5. Con il quinto motivo del ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione di legge, art 1102 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso ex art. 360, n. 5 c.p.c..
Il motivo qui in esame, connesso al quarto motivo di appello, ripropone, nella sostanza e sotto un diverso profilo, una medesima doglianza, per di più con l’inammissibile ricorso alla formulazione di censure promiscue.
Pertanto e per lo stesso ordine di ragioni innanzi esposte il motivo va, dunque, respinto.
6. Con il sesto motivo del ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione di legge ovvero dell’art. 1102 c.c. in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c..
Viene, con la censura qui in esame, riproposta la questione della possibilità della controricorrente di accesso diretto al terrazzo senza contrasto con l’utilizzazione degli altri condòmini.
E, quindi, ancora una voltai viene postulata la sussistenza, in ipotesi, di una mera modalità di uso, il tutto con la conseguenza che non poteva ordinarsi in concreto la sostituzione della porta di accesso della I.I.V. sul terrazzo con una finestra.
La Corte distrettuale, accogliendo – in punto – l’appello incidentale proposto dal Condominio non è incorsa nel denunciato vizio.
Tanto innanzitutto perché la succitata porta consentiva – in concreto – un uso che, per tutto quanto innanzi detto, non era un mero uso intensivo consentito.
Inoltre il motivo qui scrutinato è infondato anche con riguardo alla pretesa mancanza di conferimento del relativo potere dell’amministratore di conferire mandato per la proposizione dell’appello incidentale di poi accolto.
L’amministratore non poteva che perseguire interesse comune, la cui tutela rientra nei suoi propri poteri.
E nell’attribuzione dei poteri dell’amministratore (peraltro consolidata dalla delibera del 15 ottobre 2010) dovevano rientrare le controversie aventi ad oggetto (come quella per cui è causa) la disciplina delle cose comuni.
(omissis)
Il motivo va, pertanto, respinto.
7. Alla stregua di tutto quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto, il ricorso va rigettato.
8. Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio, determinate in euro 4.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.