Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione. È il principio di diritto, formulato da una sentenza del 2011, richiamato dalla Cassazione con l’ordinanza 17102 del 28 giugno 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 28.6.2018,
n. 17102
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La presente controversia trae origine dal fatto che in un edificio in condominio la società ricorrente, proprietaria di un locale al piano terreno, adibito a pub, aveva appoggiato una canna fumaria al muro condominiale a distanza minore di tre metri dal balcone dell’appartamento degli odierni resistenti, proprietari di un’unità immobiliare compresa nel medesimo edificio.
La Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva ordinato la rimozione della canna fumaria.
Per la cassazione della sentenza la società C. s.a.s. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Ambedue le parti hanno depositato memoria.
1. La corte d’appello ha riconosciuto che la canna fumaria costituiva costruzione, facendo discendere da tale qualificazione l’applicabilità dell’art. 907 c.c.
Secondo la corte di merito, se la distanza prevista dalla norma non è osservata, non c’è spazio per una valutazione discrezionale in ordine all’entità della limitazione che ne deriva alla veduta del vicino.
Tale ratio decidendi è oggetto del primo motivo di ricorso, con il quale si sostiene al contrario che l’applicazione dell’art. 907 cit. non è automatica, ma implica esattamente quella valutazione discrezionale, di incidenza del manufatto sulla veduta, che la corte d’appello ha ritenuto di non fare.
La corte d’appello ha inoltre affermato che non poteva applicarsi al conflitto inter partes l’art. 1102 c.c.
Tale ragione del decidere è oggetto del secondo motivo.
La ricorrente sostiene che la corte d’appello, prima di negare l’applicabilità della norma in base al rilievo che la canna fumaria, al pari dell’appartamento dei ricorrenti, costituiva oggetto di proprietà esclusiva, avrebbe dovuto chiedersi se l’appoggio della canna fumaria non costituisse legittimo uso della cosa comune da parte del condomino, in conformità ai consolidati principi giurisprudenziali in materia di condominio.
La corte d’appello ha infine riconosciuto che la canna fumaria pregiudicava il decoro architettonico dell’edificio, in base al rilievo che essa «larga cm 30 e alta oltre tredici metri è inserzione architettonica di rilevante impatto, capace di interferire negativamente pur sui modesti canoni architettonici espressi dall’edificio, così come appare nelle fotografie in atti di prime cure di parte appellante».
Tale ragione della decisione è oggetto del terzo motivo.
2. Si impone in via prioritaria l’esame del terzo motivo, che è infondato perché volto evidentemente a censurare una valutazione di merito insindacabile in cassazione.
“Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione (Cass. 10350/2011)”.
Nello stesso tempo, l’apprezzamento compiuto su questo punto dalla corte d’appello si atteggia quale autonoma ratio decidendi, suscettibile di giustificare da sola la decisione, conseguendone pertanto l’inammissibilità degli altri motivi, in applicazione del principio secondo il quale «qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa» (Cass. n. 2108/2012).
3. In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
(omissis)