L’appoggio di una canna fumaria al muro condominiale è una modifica che ciascun condomino può apportare a spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri il decoro architettonico; fenomeno, quest’ultimo, che può verificarsi a prescindere dal pregio estetico dell’edificio.
La valutazione in tal senso spetta al giudice di merito.
È questo il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 19858 del 22 settembre 2020, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 22.9.2020,
n. 19858
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E.R. e R.I. hanno presentato ricorso, articolato in unico motivo, avverso la sentenza n. 181/2019 della Corte d’appello di Messina, depositata in data 13 marzo 2019.
Resistono con controricorso T.R. (e altri).
La Corte di Messina ha confermato la sentenza n. 252/2012 resa in primo grado dal Tribunale di Patti, con cui era stato ordinato a E.R. e R.I. di rimuovere la canna fumaria da loro appoggiata sul lato est dell’edificio condominiale di via …. I giudici di secondo grado hanno fatto riferimento agli art. 1102 e 1107 ed all’art. 7 del regolamento condominiale, il quale impedisce l’installazione di canne fumarie che deturpano il decoro del fabbricato. Dissentendo dalle valutazioni del CTU, ad avviso del quale l’edificio in questione non avrebbe alcun pregio estetico, e perciò la canna fumaria non sembrava lesiva del decoro architettonico, la Corte d’appello ha affermato che, nonostante i precedenti interventi praticati sul fabbricato, già pregiudizievoli delle linee e delle simmetrie dello stesso, non poteva consentirsi la installazione della nuova canna fumaria da parte di E.R. e R.I., trattandosi di un “grosso tubo di acciaio, non mascherato da rivestimento” con un evidente “gomito di raccordo”, che corre per la metà superiore della facciata principale, fuoriuscendo dalla pensilina del vano scale. Tale canna fumaria creerebbe, secondo i giudici del merito una “considerevole stonatura del prospetto”, come più dettagliatamente argomentato a pagina 9 della sentenza impugnata.
L’unico motivo di ricorso di E.R. e R.I. denuncia la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 1120 c.c., nonché il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la sussistenza dell’alterazione del decoro architettonico dell’edificio imputabile alla canna fumaria, non avendo la Corte d’appello esplicitato le ragioni per cui aveva ritenuto non attendibile la CTU espletata in primo grado.
(omissis)
Il Collegio ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.
(omissis)
La sentenza della Corte d’appello di Messina contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, sicché neppure sussiste la ipotizzata nullità ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c..
L’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale, come accertato nel caso in esame, individua una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa, che ciascun condomino – pertanto – può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri il decoro architettonico; fenomeno – quest’ultimo – che si verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’armonico aspetto dello stabile, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio.
La relativa valutazione spetta al giudice di merito (e risulta congruamente compiuta alle pagine 8 e 9 della sentenza impugnata, avendo riguardo a dimensioni, consistenza e tipologia del manufatto), rimanendo insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (omissis).
Neppure può attribuirsi alcuna influenza, ai fini della tutela prevista dall’art. 1102 c.c., al grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate (Cass. Sez. 2, 16/01/2007, n. 851).
È comunque inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. per sostenere la preferibilità delle conclusioni del CTU in punto di “non alterazione del decoro architettonico” ad opera della canna fumaria installata. Il motivo di ricorso è volto a devolvere alla Corte di cassazione le critiche mosse alla mancata adesione da parte dei giudici del merito alle risultanze della consulenza d’ufficio ed alle prospettazioni della consulenza di parte (critiche che comunque si sostanziano in semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), pur non essendosi la Corte d’appello di Messina limitata a dissentire immotivatamente dalle conclusioni della relazione peritale, visto che nella sentenza impugnata sono spiegate le ragioni del convincimento raggiunto dai giudici e della mancata adesione alle conclusioni prospettate dall’ausiliare.
Spetta, peraltro, al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Tale valutazione è compiutamente esplicitata nella sentenza della Corte d’appello e non può essere sindacata in sede di legittimità invocando dalla Corte di cassazione, come auspicano i ricorrenti, un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione inferenziale dell’adesione prestata dal giudice di merito ai risultati dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Si consideri, inoltre, come il giudice è maggiormente vincolato nella motivazione dell’eventuale dissenso dalle conclusioni peritali nel caso in cui le stesse abbiano esposto frequenze statistiche direttamente rilevanti per l’accertamento del fatto litigioso; mentre certamente minore è l’assolutezza dell’inferenza induttiva generalizzante con riguardo alle scienze idiografiche, qual è appunto l’architettura, la quale non poggia su leggi generalizzabili, ma studia oggetti singoli.
Consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore dei controricorrenti nell’importo liquidato in dispositivo.
(omissis)
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.