Un condomino invia all’amministratore e agli altri residenti dello stabile una lettera con cui si diffama un altro condomino, autore a propria volta di una lettera anonima. Di seguito l’ingarbugliata vicenda e la sentenza della cassazione.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 50398/2016
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata G.D. veniva assolto per insussistenza del fatto dall’imputazione del reato di diffamazione, contestato come commesso in Roma in danno di M.M. mediante una missiva inviata il 20/03/2013 all’amministratore del proprio condominio ed agli altri condòmini e contenente le espressioni «un imbecille ha voluto fare la cosa più infame mandando una lettera anonima che vi allego … oltretutto dimostrando di non saper leggere l’italiano e lanciando accuse e insulti senza documentare nulla … quello che mi preoccupa di più è l’assurdo silenzio di chi dovrebbe aver capito che è questa la vera spazzatura con cui ci dobbiamo confrontare».
Il Procuratore della Repubblica ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazionale; la sentenza impugnata sarebbe stata pronunciata dopo che il giudice, acquisita la deposizione della persona offesa, invitava le parti a concludere senza revocare espressamente l’ammissione degli altri due testimoni richiesti dal pubblico ministero e senza sentire le parti sul punto, violando il contraddittorio e omettendo l’assunzione di prove decisive; sarebbe stata contraddittoriamente ritenuta insussistente la prova sulla riconducibilità all’imputato della missiva incriminata, che avrebbe potuto provenire dalle dichiarazioni dei testi non assunti; l’affermazione della sentenza impugnata, per la quale la missiva era indirizzata allo sconosciuto mittente della lettera anonima ricevuta dall’imputato e non vi era prova della volontà di quest’ultimo di diffamare il M:M., contrasterebbe con il contesto fattuale che indicava quest’ultimo come unico soggetto entrato in conflitto con il G.D. per ragioni condominiali, con l’ammissione del M.M. di aver redatto la lettera anonima e con la natura generica del dolo del reato, che non comprende la volontà di diffamare, ma solo la consapevolezza della portata diffamatoria delle espressioni utilizzate.
La difesa dell’imputato ha depositato memoria a sostegno della richiesta di declaratoria di inammissibilità del ricorso anche per la ravvisabilità nella condotta della scriminante della provocazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei seguenti termini.
Sono per il vero insussistenti i vizi dedotti con riguardo alla mancata assunzione delle deposizioni dei testimoni di accusa diversi dalla persona offesa.
La nullità denunciata con riguardo alla mancanza di un espresso provvedimento di revoca delle prove, in quanto a regime intermedio, era infatti sanata per non essere stata immediata eccepita (omissis), come risulta dalla lettura del verbale dibattimentale; e, quanto alla lamentata omissione nell’acquisizione di prove decisive, il ricorso è generico sulla rilevanza delle deposizioni non assunte, se non nel riferimento alla conferma della provenienza dall’imputato dello scritto incriminato; provenienza che la sentenza impugnata, in realtà, non mette in discussione.
La decisione assolutoria del Giudice era in effetti motivata essenzialmente in base alla ritenuta carenza probatoria sulla consapevolezza dell’imputato in ordine alla provenienza dal M.M. dello scritto anonimo al quale la missiva di cui all’imputazione intendeva rispondere.
Orbene, nella motivazione della sentenza impugnata non si poneva in discussione la circostanza, indicata dal ricorrente, per la quale il M.M. era l’unica persona, fra quelle collegate al condominio in cui il G.D. abitava ed alle cui problematiche accennava il contenuto del testo anonimo, con la quale l’imputato era in conflitto. Di questo elemento, indubbiamente rilevante in quanto tale da rendere probabile che il G.D. riconducesse lo scritto anonimo alla persona offesa, non si teneva tuttavia conto nella decisione, ai fini della quale era invece valutata la difformità grafica dello scritto rispetto ad altre missive precedentemente inviate all’imputato dal M.M.; dato, questo, non decisivo in quanto compatibile con la possibilità che il M.M. avesse nell’occasione occultato la propria paternità dello scritto per il contenuto particolarmente aggressivo dello stesso nei confronti del G.D..
La motivazione adottata dal Giudice di pace è pertanto manifestamente illogica nell’omessa considerazione della circostanza di cui sopra; né può tenersi conto in questa sede dei rilievi in fatto, contenuti nella memoria depositata dall’imputato, sulla ravvisibilità della scriminante della provocazione.
La sentenza impugnata deve di conseguenza essere annullata con rinvio al Giudice di pace di Roma per nuovo esame sulle indicate carenze motivazionali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Giudice di pace di Roma.