Venditore e (mancato) acquirente di un immobile sono in lite sulla validità del compromesso dal quale il secondo si è ritirato. In primo grado vince il mancato acquirente. L’appello dà invece ragione al venditore. Peccato che l’appello stesso sia nullo, in quanto la parte soccombente è risultata contumace per non essere venuta a conoscenza del giudizio. Singolare la vicenda sulla quale si è trovata ad esprimersi la Cassazione, con la sentenza 3893 del 26 febbraio 2015, di cui riportiamo un estratto.
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., sent. 26.2.2015, n. 3893
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel settembre 2004 L.N. convenne in giudizio L.C.G. per far dichiarare la risoluzione, per inadempimento, del contratto preliminare stipulato inter partes ed avente ad oggetto la compravendita di un immobile di proprietà dell’attore. Sostenne il L. che a causa dell’inadempimento del L.C. era stato costretto ad alienare a terzi l’immobile dovendosi accontentare di un corrispettivo inferiore rispetto a quello concordato con il convenuto. Motivo per cui chiese, anche, la condanna al risarcimento del danno del convenuto.
Si costituì il L.C. sostenendo che il contratto non si era perfezionato perché aveva revocato la proposta di acquisto prima ancora di essere venuto a conoscenza dell’accettazione da parte del promittente venditore. Inoltre non si era neanche verificata la condictio facti, posta nel contratto, della erogazione di un mutuo da parte della banca.
Il Tribunale di Busto Arsizio rigettò la domanda del L. e lo condannò alle spese.
2. La decisione è stata totalmente riformata con sentenza n. 1304 del 2010 della Corte d’Appello di Milano che ha dichiarato, invece, la risoluzione del contratto preliminare di compravendita concluso inter partes per fatto e colpa del promissario acquirente. Con condanna del L.C., rimasto contumace, al risarcimento del danno ed alle spese del giudizio di primo e secondo grado.
3. Avverso tale statuizione il L.C. propone ricorso in Cassazione sulla base di tre motivi.
4. Il L. non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5. La sentenza impugnata è basata sul seguente principio di fondo. Le parti hanno stipulato un contratto preliminare di compravendita di un immobile condizionandone sospensivamente l’efficacia alla erogazione del mutuo a favore del promittente acquirente. Pertanto quest’ultimo poteva sottrarsi validamente all’efficacia vincolante del contratto solo dopo aver provato che aveva compiuto tutte quelle attività necessarie ad ottenere il prestito.
6. Il ricorrente se ne duole articolando tre motivi di censura.
6.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce “la violazione e falsa applicazione dell’art. 330 c.p.c. e R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 nonché la violazione dell’art. 24 della Costituzione”. Il ricorrente sostiene di aver ignorato l’esistenza del giudizio di secondo grado perché l’atto di appello è stato notificato, erroneamente, al L.C. personalmente presso la cancelleria del Tribunale di Busto Arsizio e non, invece, alla parte personalmente presso il proprio domicilio o presso il suo procuratore costituito avv. (omissis).
6.2. Con il secondo motivo, denuncia “la violazione e falsa applicazione dell’art. 1359 e 2697 c.c. nonché difetto di motivazione. La Corte d’Appello ha ritenuto che il primo giudice ha erroneamente fatto gravare l’onere di provare la concessione del mutuo su esso L., anziché sulla controparte”.
6.3. Con il terzo motivo, denuncia “la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, 1225 e 1227 c.c., in relazione all’art. 1453; omessa e contraddittoria motivazione”. Il Giudice del merito, sostiene il ricorrente, ha errato perché non si è posto il problema della prevedibilità del danno.
7. Il ricorso va accolto.
7.1. È evidente la fondatezza del primo motivo di ricorso dovendo ritenersi radicalmente nulla la notifica al ricorrente dell’atto di appello. Al riguardo vanno richiamati i principi più volte affermati da questa Corte:
* in tema di notificazione dell’atto di appello, qualora la parte abbia eletto domicilio presso il proprio procuratore, e questi, svolgendosi il giudizio di gravame fuori della propria circoscrizione di assegnazione, non abbia a sua volta eletto domicilio presso un collega iscritto nel luogo ove ha sede l’autorità procedente (con conseguente fissazione di domicilio “ex lege” presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria procedente: R.D. n. 37 del 1934, art. 82), la notifica stessa può, alternativamente, essere compiuta alla parte personalmente, ex art. 137 c.p.c., ovvero al procuratore presso la cancelleria del luogo ove si svolge il giudizio d’appello. Ma non anche alla parte presso detta cancelleria, dovendosi ritenere l’elezione di domicilio “ex lege” di cui al R.D. n. 37 del 1934, citato art. 82 limitata al solo procuratore costituito, e non anche estesa alla parte appellata.
Pertanto la notifica effettuata alla parte personalmente presso la Cancelleria è inesistente ed insuscettibile di rinnovazione (o di sanatoria con efficacia “ex tunc” per effetto della costituzione della parte destinataria nel giudizio di appello ) perché priva di qualsiasi collegamento con il destinatario di essa atteso che la chiusura del pregresso grado di giudizio “comporta la rescissione di qualsiasi legame del destinatario con la cancelleria del giudice a quo e l’inettitudine di questa a configurarsi ulteriormente come luogo di consegna legittima dell’atto” (sentenza 23/12/1999 n. 14476).
Da quanto precede deriva che, in applicazione degli enunciati principi, la notifica dell’atto di appello al L.C. personalmente presso la cancelleria del tribunale di Busto Arsizio, deve ritenersi inesistente, perché priva di qualsiasi collegamento con la persona del destinatario della notifica.
A causa di tale nullità il ricorrente, come è ovvio, non ha avuto conoscenza del giudizio di appello.
L’appello, quindi, doveva ritenersi inammissibile.
Ne consegue che erroneamente la Corte di Appello ha proceduto all’esame del merito dell’impugnazione per cui la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, a norma dell’art. 382 cod. proc. civ., in quanto il processo non poteva essere proseguito in appello.
7.2. Rimangono assorbiti gli altri motivi.
8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata senza rinvio e condanna l’intimato L. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore del ricorrente, che liquida in complessivi 2.200 Euro, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.