Dallo scaldabagno difettoso si sprigiona monossido di carbonio che uccide i due inquilini di un alloggio il cui proprietario viene condannato. Questi si difende imputando la disgrazia alla canna fumaria ostruita, e addebitando le responsabilità al condominio. Ma la Corte di Cassazione conferma il giudizio di primo e secondo grado.
——————–
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. IV pen., sent. n. 4451,
ud. 7.7.2015
——————–
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 22 ottobre 2013 appellata da C.F.. Quest’ultima era stata tratta a giudizio e condannata alla pena ritenuta di giustizia (oltre che al risarcimento del danno in favore delle parti civili) per rispondere dei reati di cui agli artt. 589 e 590 cod. pen., in qualità di proprietaria locatrice dell’immobile ad uso di civile abitazione sito in Milano, piazza …, perché per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di norme tecniche in materia di sicurezza e di manutenzione degli impianti domestici e delle apparecchiature alimentate a gas, dell’art. 1575 del codice civile, artt. 1-3-5 l. n. 1083/1971, d.P.R. 218/98, in relazione allo scaldabagno collocato nel locale soggiorno/cucina dell’alloggio alimentato a gas metano, marca … a camera aperta, non impedendo che lo stesso fosse utilizzato seppure vetusto o malfunzionante, inserito su sistema fumario non adeguato, non dando seguito ad un invito dell’amministratore condominiale di adeguamento dell’impianto con eliminazione delle difformità emerse dalla videoispezione risalente al 2000 effettuata dalla ditta …, cagionava la morte di S.A. e L.K. per effetto di intossicazione da monossido di carbonio sprigionatosi dall’apparecchiatura e cagionava lesioni per intossicazione da monossido di carbonio ai condomini o inquilini degli alloggi adiacenti o soprastanti.
2. Avverso tale decisione ricorre a mezzo del difensore di fiducia la C.F. deducendo sotto più profili mancanza e/o illogicità di motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. La vicenda di cui è causa concerne le gravissime conseguenze per alcuni letali subite dagli abitanti dello stabile sito in Milano piazza … la mattina del 2 ottobre 2010. I giudici di merito – premesso che la posizione di garanzia della C.F. derivava dal disposto dell’art. 1575 cod. civ., secondo cui il locatore deve consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione e mantenerla in stato da servire all’uso convenuto, hanno concordemente ritenuto la responsabilità dell’odierna ricorrente, pacificamente proprietaria e locatrice dell’immobile in cui era presente l’apparecchiatura da cui era derivata l’intossicazione da monossido di carbonio, con riferimento all’addebito concernente le deficienze e la vetustà dell’apparecchiatura.
La ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare integralmente il materiale probatorio.
In particolare tutti i motivi di gravame si incentrano sulla tesi che l’occlusione della canna fumaria – non addebitabile alla C.F. – sarebbe stata la causa esclusiva della produzione dell’evento. In buona sostanza, secondo la tesi difensiva, l’occlusione del condotto fumario sarebbe stata la causa esclusiva della produzione di monossido di carbonio, anche nel caso di un’apparecchiatura perfettamente mantenuta efficiente.
Contrariamente all’assunto prospettato, la Corte territoriale ha espressamente preso in considerazione tale prospettazione, richiamando sul punto quanto affermato dal primo giudice secondo cui la riferita occlusione della canna fumaria che pure ha contribuito in maniera sensibile alla produzione dell’evento, non avrebbe potuto cagionarlo se lo scaldabagno non avesse, a monte, esalato monossido di carbonio in percentuali così elevate da saturare l’aria nel giro di poche decine di minuti, come hanno ampiamente dimostrato le prove tecniche effettuate dai consulenti prima e dopo la sommaria pulizia dell’apparecchio.
Orbene, come è stato più volte affermato da questa Corte, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, sicché è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello.
È stato altresì posto in rilievo nella sentenza impugnata, sulla base delle risultanze peritali, come solo la presenza di una situazione altamente pericolosa (derivante dalla assoluta inefficienza dell’apparecchiatura) avesse fatto sì che si verificasse l’incidente mortale, parimenti rimarcando che ove le minime necessarie verifiche fossero state effettuate, la non rispondenza dell’apparecchio agli standard di sicurezza ne avrebbe per ciò solo imposto la rimozione, con ciò scongiurando con grado di probabilità prossimo alla certezza il verificarsi degli eventi.
Non si è pertanto assolutamente in presenza del vizio di motivazione denunciato, essendo – contrariamente a quanto sostenuto – espressamente presa in considerazione la doglianza difensiva.
Va peraltro osservato che come precisato da questa Corte (cfr. ex plurimis Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013), in sede di legittimità non è comunque censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa.
Nella specie il dedotto vizio di motivazione fa altresì riferimento alla circostanza che mai la C.F. avrebbe sostenuto che essa dovesse andare esente da responsabilità per essere la canna fumaria di proprietà condominiale. È evidente l’assoluta pretestuosità di tale impostazione ove solo si consideri che l’elemento fondante della impostazione difensiva – come già riferito – è proprio quello di non essere comunque responsabile dell’ostruzione, il che impone logicamente – anche se non espressamente evocata – la responsabilità di altri soggetti, quali appunto il condominio.
Va peraltro in proposito osservato che, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, che si è pronunciata sul punto, (cfr. Cass., Sez. 4, Sent. n. 43078 del 28.04.2005), allorquando l’obbligo di impedire l’evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto parimenti destinatario dell’obbligo di impedire l’evento, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell’art. 41 c.p., comma 1. In questa ipotesi la mancata eliminazione di una situazione di pericolo (derivante da fatto omissivo o commissivo dell’agente) ad opera di terzi, non è una distinta causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, ma una causa/condizione negativa grazie alla quale la prima continua ad essere efficace.
4. Il ricorso va pertanto rigettato. Ne consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alle spese sostenute dalle parti civili liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute per questo giudizio di cassazione da … e … liquidate in euro 3000, oltre accessori secondo legge, nonché da … in proprio e da … liquidate in euro 3500 oltre accessori secondo legge, nonché da … e … liquidate in euro 3000 oltre accessori secondo legge..