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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 30.3.2016, n. 6152
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CONSIDERATO IN FATTO
K.J. (e altri) convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Condominio di Via … e tutti i singoli conòomini al fine di sentir accertato l’acquisto per usucapione in loro favore della superficie di mq. uno circa inglobata nel retrobottega del loro negozio ubicato nello stesso stabile e con accesso al civico n. ….
Resistevano, come da atti, alla domanda il Condominio ed i condòmini.
Con sentenza n. 28495/2003 il Tribunale adito rigettava la domanda proposta dagli attori e dichiarava il difetto di legittimazione passiva del Condominio.
Avverso la suddetta decisione del Giudice di prima istanza interponevano appello gli originari attori chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza.
Resistevano all’interposto gravame A.R. (e altri condomini, ndr), nonché il succitato Condominio, che proponeva appello incidentale avverso l’omessa liquidazione delle spese in proprio favore nonostante l’intervenuta declaratoria del difetto di legittimazione.
L’adita Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 2600/2010, accoglieva l’appello principale e quello incidentale e, in riforma della gravata decisione, dichiarava gli appellanti principali proprietari pro-indiviso, a seguito di compiuta usucapione, dell’anzidetto spazio di mq. uno, con condanna dei medesimi appellanti al pagamento in favore del Condominio delle spese di lite del doppio grado del giudizio.
(omissis)
Per la cassazione della suddetta decisione ricorre A.R. con atto affidato a quattro ordini di motivi.
Resistono con controricorso K.J.
Non hanno svolto attività difensiva le altre parti intimate.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 101 e 102 c.p.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.) per aver accertato la titolarità di un diritto reale di proprietà di un immobile in capo ad un soggetto estraneo al giudizio ed, inoltre, omessa, carente ed illogica motivazione su un punto decisivo per avere la Corte di Appello posto tale accertamento a fondamento della propria decisione.
Il motivo non può essere accolto.
Innanzitutto – va evidenziato – con il motivo in esame si prospettano censure di violazione di legge attraverso il ricorso alla invocata norma processuale relativa, più propriamente, a censura di carenza motivazionale.
In ogni caso il denunciato vizio di violazione e falsa applicazione di legge non è fondato.
È del tutto aliena, rispetto agli atti, la pur mossa censura relativa alla attribuzione “della titolarità di un diritto di proprietà di un immobile in capo ad un soggetto estraneo al giudizio”.
Infatti gli odierni controricorrenti ebbero ad acquistare il minimo vano (di un metro quadrato) per cui è causa con atto per notaio F. del 14 maggio 1984 da M.D..
A quest’ultima dante causa non si è direttamente attribuita, con la gravata sentenza, alcuna titolarità di un diritto: tanto – giova evidenziare – al fine di evitare che con il ricorso in esame si arrivi ad ipotizzare vizi che risultano del tutto alieni rispetto a quello che è stato non solo l’iter processuale, ma il dictum stesso della sentenza impugnata.
Invero la gravata decisione si è limitata, nel motivare la conferma della sentenza di primo grado, a rilevare come – decorrendo in ogni caso ininterrottamente dal 1962 l’usucapione – questa si era comunque verificata non solo con riguardo alla originaria proprietaria, ma anche con riferimento agli acquirenti del 1984.
La Corte, quindi, ha poi ritenuto come “del tutto ad abundantiam” la pur richiesta accessione nel possesso; e si è limitata a prendere atto di una datata ed ormai consolidata situazione di fatto una situazione del tutto prescindente dall’erroneo paventato riconoscimento, di cui al motivo in esame, in capo alla M.D..
Anzi la Corte stessa ha ritenuto comunque inglobato e “fisicamente incorporato nel bene compravenduto” (nel 1984) il metro quadro per cui si controverte.
Tanto, peraltro, essendo – così correttamente ricostruita l’effettiva ratio della gravata decisione – del tutto ininfluente l’aspetto denunciato col motivo qui esaminato.
Esso è, pertanto, infondato.
2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1159 c.c. per aver la Corte distrettuale accertato l’usucapione in difetto di una attività da parte dell’affermato titolare.
Il motivo è infondato.
L’originaria proprietaria M.D. non aveva alcun interesse, né alcuna legittimazione ad agire per consolidare, in un certo senso, l’acquisto del piccolo immobile accertato dalla sentenza gravata in capo agli odierni controricorrenti.
Peraltro, pur nella pacificità del possesso di questi ultimi dal rogito del maggio 1984 (e prima ancora della loro dante causa dal 1962), accennata – come innanzi riportato – nella decisione gravata, è stato ritenuto che il negozio, prima condotto e poi acquistato dagli originari attori, era già avvenuto con inglobamento del metro quadro: motivo, ulteriore e decisivo, per cui nessuna attività era in giudizio richiesta alla M.D..
Il motiva va, dunque, respinto.
(omissis)
5. Alla luce di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso va rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei contro ricorrenti delle spese del giudizio, determinate in euro 3.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.