La posa in opera di un parquet in un appartamento crea una controversia tra il proprietario dell’alloggio e la ditta esecutrice dei lavori. Chi ha ragione? Chi deve pagare? E In che misura? È la vicenda della quale si è occupata la Corte di Cassazione con la sentenza 24525 del 2 dicembre 2015, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 2.12.2015,
n. 24525
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 16.7.1994 M.S. proponeva opposizione al d.i. emesso dal Tribunale di Cosenza in favore di P. Parquets per l’importo di lire 6.062.641 oltre interessi e spese quale corrispettivo, detratto l’acconto versato, di un contratto di appalto, del 1.9.1992, per la fornitura e posa in opera di parquet in tre camere da letto e cucina.
Al termine dei lavori, l’opponente denunziava con telegramma i vizi e difetti dell’opera.
La ditta riconosceva i difetti e provvedeva ad effettuare nuovo intervento che, secondo l’opponente, aggravava i danni.
L’opponente formulava eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. proponendo domanda di risoluzione e chiedeva la restituzione dell’acconto, oltre rivalutazione ed interessi ed in subordine la riduzione del prezzo, in ogni caso i danni in lire 83.253.000.
Controparte chiedeva la conferma del d.i..
Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda dell’opponente di riduzione del prezzo, revocando il d.i. e condannando il M.S. al pagamento di euro 1.193,70, pari alla metà, con l’acconto versato, del prezzo originariamente pattuito.
La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza 26.2.2010, accoglieva l’appello del M.S. e la sua riconvenzionale, dichiarava la risoluzione per grave inadempimento rigettando la domanda della P. Parquets condannata alla restituzione dell’acconto ed ai danni in euro 10.000, oltre spese.
I vizi denunziati erano stati complessivamente riscontrati di gravità tale da determinare il venir meno della causa del contratto, dovendosi secondo il Ctu rifare l’intera pavimentazione.
Pur essendo l’obbligo di restituzione un effetto naturale della restitutio in integrum è necessario che la parte proponga esplicita domanda e solo il M.S. aveva chiesto la restituzione dell’acconto.
I danni potevano liquidarsi in via equitativa in euro 10.000 comprensivi di costi di alloggio del nucleo familiare per la durata di esecuzione dei lavori.
Ricorre P. Parquets con due motivi, illustrati da memoria, resiste M.S.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura che è presente a margine dell’originale (Cass. 24.2.2011 n. 4548).
Si denunziano, con il primo motivo, violazione degli artt. 1445 e 1668 c.c. e vizi di motivazione per avere la sentenza valutato la gravità dell’inadempimento sulla scorta della Ctu mentre tale non era , trattandosi anche di appartamento vetusto nel centro storico della città.
Col secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 1223, 1226, 1227, c.c. e vizi di motivazione in ordine ai danni avendo la Corte di appello riconosciuto che il danno non poteva essere dato dalla differenza tra il valore dell’appartamento al nuovo da vendere con i pavimenti da rifare bensì constava dei disagi, dei costi di ripristino e di alloggio.
Ciò premesso si osserva:
Come dedotto, la Corte territoriale ha dichiarato la risoluzione per grave inadempimento rigettando la domanda della P. Parquets condannata alla restituzione dell’acconto ed ai danni in curo 10.000 oltre spese.
I vizi denunziati erano stati complessivamente riscontrati di gravità tale da determinare il venir meno della causa del contratto, dovendosi secondo il Ctu rifare l’intera pavimentazione.
Il primo motivo non merita accoglimento.
La valutazione della gravità dell’inadempimento è prerogativa del giudice di merito se, come nella specie, sufficientemente motivata sostanzialmente non contestandosi che bisognava rifare la pavimentazione né giova il riferimento alla vetustà dell’appartamento ed alla ubicazione nel centro storico che giustificano il ricorso al parquet in legno.
Quanto al vizio di motivazione denunziato va ribadito che la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. deve essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 n. 4 c.p.c. in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.
Il secondo motivo va accolto.
Dalla motivazione emerge che al committente è stato accordato come risarcimento, oltre al costo dell’alloggio, quello del completo rifacimento dei locali senza tener conto della restituzione dell’acconto e senza specifica indicazione dei criteri adottati, con ciò determinando un lucro indebito e la sostanziale gratuità della prestazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza sul punto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Catanzaro, altra sezione.