Pericolo di crollo di calcinacci: le responsabilità di condòmini e amministratore
A un condomino è intimato di rimuovere il rischio di caduta di calcinacci dalla facciata esterna della sua unità immobiliare. Lui non provvede, sostenendo che l’ordinanza andava indirizzata all’amministratore. La Cassazione gli dà torto. Vediamo perché.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen.,
ord. n. 33198/2016
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RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Castrovillari condannava fra l’altro l’imputato A.G. alla pena euro 200 di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 650 cod. pen., contestatogli per avere omesso di eseguire lavori di eliminazione del pericolo di crollo di calcinacci dalle facciate esterno dell’edificio condominiale ove era situata la sua abitazione, prescritti con ordinanza sindacale del 28/1/2010.
2. Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del suo difensore per chiederne l’annullamento per i seguenti motivi:
a) inosservanza ed erronea applicazione della legge e mancanza di motivazione; il Tribunale non ha rilevato che l’ordinanza sindacale era stata notificata in data 20/4/2010 ad E.B. senza che l’atto fosse stato consegnato al ricorrente, il quale ne aveva ignorato il contenuto in modo incolpevole.
b) erronea applicazione della legge in riferimento al disposto dell’art. 1135 cod. civ., a norma del quale spetta all’amministratore attivarsi per la conservazione delle parti comuni dell’edificio condominiale e di ordinare lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria che siano urgenti. Pertanto, destinatario dell’obbligo inadempiuto in via primaria era l’amministratore e solo in via residuale i singoli condòmini.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione è inammissibile in quanto basata su motivi manifestamente infondati.
1.Va premesso che non è in contestazione da parte del ricorrente la circostanza dell’effettiva inottemperanza all’ordinanza con la quale gli era stato ingiunto di provvedere all’eliminazione del pericolo di crollo di calcinacci dalle facciate dell’edificio di cui era comproprietario, ma soltanto la possibilità di ricostruire la sua responsabilità.
1.1. Osserva questa Corte che la tesi difensiva in primo luogo si basa su circostanza che non è mai stata dedotta nel giudizio di primo grado e che implica verifiche di tipo fattuale, precluse a questa Corte, che è giudice non del fatto ma della sentenza, la quale, peraltro, ha dato atto che il A.G., come gli altri condòmini diversi da tale G., aveva ricevuto notificazione dell’ordinanza sindacale rimasta inadempiuta.
2. Quanto alla questione in punto di diritto circa l’individuazione del destinatario dell’ordine impartito per ragioni di sicurezza pubblica, la tesi difensiva non ha alcun pregio, dal momento che l’amministratore non è proprietario né di parti esclusive e nemmeno di quelle comuni dell’edificio condominiale, ma svolge funzioni di gestione delle stesse, anche a fini conservativi, nell’interesse della collettività condominiale; non è però legittimato, né attivamente, né passivamente in riferimento ad azioni giuridiche che investano la titolarità della proprietà dei beni inclusi nel fabbricato e non risulta nemmeno individuato come destinatario nel provvedimento contingibile ed urgente non eseguito. Pertanto, egli avrebbe potuto dare esecuzione ad eventuali deliberazioni assunte dall’assemblea, qualora le stesse fossero state adottate ed i condòmini avessero fornito i mezzi finanziari necessari, ma certamente non è individuabile quale soggetto obbligato in proprio ad ottemperare all’ordine della pubblica amministrazione, tanto più che i singoli partecipanti al condominio avevano ricevuto personale notificazione dell’ordine stesso.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella proposizione di siffatta impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della Cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro duemila ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di 2.000 euro alla Cassa delle ammende.