Un amministratore attinge al conto corrente condominiale per far fronte ad innumerevoli spese personali. Si crea, così, un ammanco per colmare il quale i condòmini sono costretti a versare un rateo straordinario. Per la sua allegra finanza, tuttavia, il professionista viene giudicato e condannato sia dal tribunale di primo grado sia in sede d’appello: sentenze confermate dalla Cassazione. Di seguito una sintesi della vicenda.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen.,
sent. n. 40790/2016
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 19/02/2014, il Tribunale di Trento dichiarò C.A. responsabile dei reati di cui agli artt. 61 commi 7 e 11, articolo 81 cpv., artt. 110 e 646 c.p., e lo condannò alla pena di anni uno e sei mesi di reclusione ed euro 500 di multa, nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, disponendo una provvisionale, immediatamente esecutiva, nella misura di euro 60.000. Concedeva all’imputato la sospensione condizionale della pena, subordinata all’adempimento dell’obbligazione civile, nel termine di 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Trento confermava la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo:
1) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, in relazione al giudizio di responsabilità per contraddittorietà con le risultanze dibattimentali, ai sensi dell’articolo 606 lett.e) c.p.p..
La costituita parte civile non ha fornito indicazione sui beneficiari dei pagamenti effettuati, e manca la prova della riconducibilità delle voci di spesa al C.A.. La prova documentale richiamata in sentenza altro non è che una dichiarazione di parte scritta dal querelante, priva di alcun riscontro oggettivo. Nessuna motivazione sull’attendibilità delle dichiarazioni querelante;
2) la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, in ordine alle statuizioni civili, ai sensi dell’articolo 606 lett.e) c.p.p.. La Corte distrettuale ha confermato le valutazioni del Giudice di prime cure in ordine alla quantificazione degli ammanchi pari ad euro 180.000, senza tuttavia dare, di tale determinazione, una spiegazione convincente sul piano della logica probatoria. A ciò aggiungasi che le competenze come amministratore non sono mai state incassate per intero, mentre quelle quale architetto per le opere progettate e dirette relative alle colonne di scarico non sono mai state retribuite.
Vanno poi aggiunte le ingenti compensazioni che venivano concesse ad alcuni condòmini, ogniqualvolta si riscontravano palesi addebiti non congrui.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile con riferimento a entrambi i motivi.
Solo formalmente, infatti, vengono evocati vizi di legittimità. In concreto le doglianze peraltro del tutto generiche sono articolate sulla base di rilievi che tendono ad una rivalutazione del merito delle statuizioni della Corte territoriale; statuizioni, peraltro, nella specie operate dalla Corte di appello con argomenti esaurienti e privi di vizi logici sia sul punto responsabilità, sia in punto determinazione del danno subito e relativa condanna risarcitoria. La Corte territoriale, nella motivazione, doverosamente ancorata ai profili fattuali della vicenda, ha rilevato che il giudizio di responsabilità si fonda sulle prove documentali (redazione del rendiconto redatto dal nuovo amministratore) attestanti i prelievi operati dal C.A. (quale amministratore del condominio all’epoca dei fatti) sul conto del condominio … per spese non riferibili all’amministrazione condominiale (pagamenti al distributore Esso, alla ricarica di carte prepagate, acquisti di vestiario presso noti esercizi commerciali, innumerevoli prelievi in contanti, emissione di assegni a soggetti non identificati, somme corrisposte alla sua segretaria a titolo di compenso). Da qui la complessiva situazione debitoria pari a euro180.000 per mancati pagamenti, tanto che i condòmini erano stati costretti a provvedere al versamento di un rateo straordinario per far fronte all’indebitamento maturato nei confronti dei fornitori. Nessuna prova è stata fornita dall’imputato per contrastare le acquisizioni probatorie in atti (v. pagg.5 e 6 della sentenza impugnata).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa (v. Corte Cost. sent. n.186/2000), nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di millecinquecento euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro millecinquecento alla Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Condominio … che liquida in euro 3510 oltre rimborso forfettario nella misura del 15% CPA e IVA.