La disputa in merito alla concessione o meno di una servitù di passaggio a favore di un condominio. ecco in che modo si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza 17044 del 20 agosto 2015, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 20.8.2015, n. 17044
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L.S., proprietaria di un fondo sito in comune di Gessate e distinto dalla particella catastale n. …, agiva in negatoria servitutis, davanti al Tribunale di Milano, nei confronti del confinante condominio di via …, contestandone la pretesa servitù di passo pedonale e carraio sul proprio fondo.
Il condominio resisteva in giudizio.
Il Tribunale accoglieva la domanda, in quanto da un lato la strada prevista per il suo esercizio non era stata realizzata, e dall’altro il condominio godeva di altro e ben individuato passaggio, gravante sulla particella n. …, per cui nessuna servitù poteva riconoscersi in favore del condominio stesso sulla particella n. … di proprietà dell’attrice.
Gravata dal condominio, tale pronuncia era ribaltata dalla Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2734 pubblicata il 2.11.2009. Osservava la Corte territoriale che il giudice di prime cure aveva errato nel non ritenere che i titoli di provenienza prodotti dall’attrice dessero prova della sussistenza della servitù, ricavabile, invece, dalla clausola, presente sin dal primo frazionamento dell’originario fondo comune, avvenuto con due consecutivi atti di vendita del 29.4.1925, e ripetuta nei successivi trasferimenti e divisioni, secondo cui era fatto obbligo alla parte acquirente di lasciare sul lato di levante una striscia distante 6 metri dal confine della proprietà vicina, per modo che ne risultasse una strada di larghezza di sei metri netti. Il Tribunale, proseguiva la Corte distrettuale, aveva errato nell’attribuire valore dirimente all’esistenza di altra servitù di passaggio, in favore del condominio, gravante su di un fondo limitrofo a quello dell’attrice, poiché tale circostanza di fatto era sì rilevante ma non esaustiva al punto da inficiare la prova già acquisita di esistenza della servitù; e infine, nell’aver sostanzialmente ritenuto perenta la servitù di passo controversa, in mancanza della relativa prova, non fornita dall’attrice, e soprattutto di una domanda ai sensi dell’art. 1073 c.c..
Per la cassazione di detta sentenza ricorre L.S., in base a due motivi.
Resiste con controricorso il condominio di via …, che ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1058 e 1059 c.c., in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c..
Sostiene parte ricorrente che: a) l’accesso alla corte condominiale è altro e ben diverso dal mapp. di proprietà S.; b) la clausola contenuta nell’atto di vendita del 29.4.1925 stabiliva l’obbligo, a carico degli acquirenti, di costruire una strada della larghezza di sei metri, ma non determinava a favore di quale fondo sarebbe stata costituita la supposta servitù di passaggio; c) la Cooperativa Agricola (omissis) non era proprietaria dell’intero complesso immobiliare che forma oggi il condominio …, poiché la maggior parte dell’area apparteneva ad altri; d) l’obbligazione di costruire la strada a cavallo tra le due proprietà non è stata adempiuta da alcuna parte, tant’è che tra la proprietà S. e la corte condominiale sono stati piantati degli alberi che impediscono l’accesso diretto dalla prima alla seconda; pertanto, e) il relativo diritto si è estinto per prescrizione.
Tutto ciò comporta la violazione: dell’art. 1058 c.c., in base al quale la servitù di passaggio può costituirsi anche per contratto, ma richiede l’indicazione non solo del fondo servente, ma anche di quello dominante; dell’art. 1059 c.c., atteso che l’eventuale servitù concessa da un proprietario della corte indivisa (nella specie, la cooperativa omissis) non è costituita se non quando anche gli altri comproprietari l’hanno concessa, unitamente o separatamente; dell’art. 2946 c.c., per l’avvenuta prescrizione del diritto di credito alla realizzazione della strada; dell’art. 1074 c.c., essendo documentalmente provato che è impossibile utilizzare la pretesa servitù essendo i rispettivi fondi delle parti divisi da piante; e dell’art. 1073 c.c., per essersi, in subordine, estinta la servitù per non uso ultraventennale.
2. Il secondo mezzo propone sostanzialmente la medesima censura, ma sotto il profilo del vizio motivazionale. La sentenza della Corte milanese, deduce parte ricorrente, si limita ad affermare che la (diversa) servitù di accesso alla proprietà oggi condominiale derivante dall’atto d’acquisto da E.P., costituisce un fatto sì rilevante ma non decisivo. Tale motivazione è insufficiente e contraddittoria, in quanto in causa si discute dell’esistenza o non del diritto dei condòmini di accedere alla loro corte comune tramite il fondo dell’attrice, e non del loro diritto di accedervi altrimenti, come specificato nel loro titolo di provenienza. Inoltre, la Corte distrettuale si è limitata ad affermare che nell’atto di provenienza S. era previsto l’obbligò di realizzare una strada d’accesso, senza tuttavia domandarsi se da tale strada si dovesse accedere al terreno poi divenuto corte comune del condominio ovvero ad altro e diverso terreno posto alla fine della strada.
3. I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro complementarietà, sono fondati nei limiti che seguono, di talché resta assorbito ogni altro profilo di censura.
3.1. L’esigenza che nell’atto costitutivo di una servitù siano specificamente riportati tutti gli elementi di questa non implica la necessità dell’espressa indicazione e dell’analitica descrizione del fondo dominante, di quello servente e del contenuto dell’assoggettamento di questo all’utilità del primo, essendo sufficiente che tali elementi siano comunque desumibili, attraverso i consueti strumenti ermeneutici, dal contenuto dell’atto; la relativa valutazione, concretandosi in un’indagine sull’effettiva volontà dei contraenti in ordine all’eventuale costituzione di una servitù prediale, costituisce accertamento di fatto sindacabile in sede di legittimità solo per motivazione incongrua o affetta da errori logici o per inosservanza delle regole di ermeneutica (Cass. nn. 4241/10, 9741/02, 11674/00, 8885/00 e 10159/99).
Non è, però, sufficiente per la costituzione convenzionale di una servitù prediale una clausola di stile secondo cui la “vendita comprende i connessi diritti, accessori e pertinenze”, essendo indispensabile l’estrinsecazione della precisa volontà del proprietario del fondo servente diretta a costituire la servitù e la specifica determinazione nel titolo di tutti gli elementi atti ad individuarla (fondo dominante, fondo servente, natura del peso imposto su quest’ultimo, estensione) (Cass. n. 5699/01).
Dunque per la costituzione negoziale di una servitù occorre che la convenzione rechi – espresse o ad ogni modo desumibili che siano – tutte le specificazioni anzi dette, incluso quanto necessario ad identificare con certezza il fondo dominante, di guisa che tutti e non solo alcuni degli elementi costitutivi della servitù ricadano sotto la signoria del medesimo accordo.
3.1.1. Nello specifico, la sentenza impugnata ha ritenuto che la costituzione convenzionale della servitù di cui si controverte si ricavasse da una clausola, contenuta tal quale (al netto di un non rilevante “ne” proclitico, presente solo in un caso) in due consecutivi atti di vendita per notaio B. del 24.4.1925, repertoriati ai numeri 35669 e 35670. Con tali atti, richiamati nella sentenza di primo grado – che a sua volta è riprodotta per intero nella pronuncia d’appello, che la fa implicitamente propria ai fini (non solo della narrazione ma anche) della ricostruzione dei fatti – cominciò ad essere frazionata l’area fino ad allora di proprietà esclusiva della Cooperativa Agricola (omissis) di Gessate. In ciascuno dei predetti atti pubblici detta clausola prevedeva a carico della parte acquirente l’obbligo di lasciare sul lato di levante una striscia distante sei metri netti dal confine della proprietà vicina, per modo che si creasse una strada di larghezza netta non inferiore a metri sei.
Sempre dalla sentenza di primo grado così come riprodotta e fatta propria da quella d’appello ai fini anzi detti, si ricava che: a) i confini nei due predetti atti di vendita erano stati precisati nel modo seguente: “a ponente (per entrambi i lotti) i beni di proprietà G.; a levante (per entrambi i lotti) l’area destinata a strada; a tramontana (per il mappale 665 acquistato dai fratelli S.) beni in vendita a C. F. e per il mappale 655 (acquistato da C.F.) la strada comunale da Pessano a Gessate”; e che b) la strada contemplata in detta clausola non risulta essere stata realizzata.
A tali dati emergenti dalla decisione del Tribunale, la sentenza oggi impugnata aggiunge che in ambedue i predetti atti di vendita del 1925 si legge, altresì, che “su detta strada il proprietario frontista ha diritto di aprire luci, finestre, porte e di passarvi anche con carri o altro” (v. pag. 6-7 della sentenza d’appello).
Orbene, sulla base di dati fattuali così ricostruiti e della circostanza che nei successivi atti di divisione del 2.7.1950 (tra i fratelli Enrico e Giuseppe S.) e del 13.4.1975 (tra i figli ed eredi di Giuseppe S.) fosse stata, rispettivamente, riprodotta la medesima clausola delle vendite del 1925 e citato tra i confini il tratto di terreno a levante soggetto a servitù di passaggio carrabile a favore di terzi, la Corte milanese ha tratto la conclusione dell’esistenza della servitù negata invece dal giudice di prime cure.
3.1.2. Tale conclusione viola l’art. 1058 c.c..
Se è vero che lì dove vi è un peso a carico di un fondo vi deve essere di necessità anche un’utilitas a vantaggio di un altro, non è però esatto che questa possa svolgersi unicamente a titolo di servitù. Né tanto meno è corretto che, accertati gli estremi del peso corrispondente ad una servitù prediale, il fondo dominante s’identifichi automaticamente in quello che in concreto abbia la possibilità di goderne, se pure ciò non si desume dal titolo. E la Corte territoriale è incorsa in entrambi gli errori.
Essa ha considerato come costitutive di una servitù di passaggio delle clausole che, così come accertate nella sentenza impugnata sulla base di una motivazione in parte qua non coinvolta dalle censure, descrivono semmai il meccanismo tipico della creazione di una strada vicinale privata ex agris collatis. E le strade vicinali rimangono in comune ai conferenti per l’utilità non di fondi terzi, ma degli stessi terreni da cui esse si sono originate per distacco particellare.
Il che se non esclude che la medesima area destinata a strada comune possa essere asservita anche all’utilità di un fondo diverso da quelli (per traslato) conferenti, non per questo lo dimostra. Identificato il peso a carico di un fondo, per la costituzione della servitù prediale corrispondente non basta un immobile vicino e alieno che possa trarre vantaggio da tale aggravio.
E, nello specifico, il fatto che la clausola di conferimento sia stata richiamata in atti successivi, per di più di sola divisione, non vale certo a integrare gli elementi mancanti della servitù. Così come operata dalla Corte di merito, l’interpretazione tanto dei primi quanto dei successivi titoli di rispettiva provenienza manca della dimostrazione di quale fosse il fondo dominante in virtù di comune, anche se implicita, volontà delle parti di quegli stessi contratti.
Né per integrare la dedotta costituzione convenzionale della servitù possono sopperire gli elementi di fatto forniti dal controricorrente (v. pag. 9 del controricorso), in quanto il loro accertamento positivo non è ritraibile dalla sentenza impugnata né può essere operato da questa Corte Suprema, che com’è noto non dispone di poteri di valutazione di merito.
4. Per le considerazioni svolte la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà ad un rinnovato esame del merito alla luce dei principi di diritto sopra ricordati, e regolerà, altresì, le spese di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà anche sulle spese di cassazione.