In mancanza di un termine di durata, il bene oggetto delcomodato deve essere restituito dal comodatario non appena il comodante lo
richieda. È quanto evidenziato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 12945
del 23 giugno, di cui riportiamo un estratto.
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., Ord. 23.06.2015,
n. 12945
È stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai
sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:
“1. – Con atto di citazione del luglio 2008, A.G. ha
convenuto davanti al Tribunale di Latina il figlio F., chiedendone la condanna
alla restituzione di un appartamento concessogli in comodato con atto (omissis).
L’appartamento era stato adibito dal comodatario a residenza della sua famiglia
e, dopo la separazione fra i coniugi, il diritto di abitazione era stato
assegnato alla moglie e odierna ricorrente, C.S.C., ed al figlio minore a lei
affidato. Il giudice adito ha ordinato l’intervento in causa della C., la quale
si è costituita e ha resistito alla domanda, affermando che il comodato era
stato concesso in previsione delle esigenze abitative della famiglia e che
pertanto non poteva essere revocato prima della cessazione del vincolo di
destinazione, salvo urgente ed imprevisto bisogno del comodante, allo stato non
dimostrato. Con sentenza n. 22802/2009, il Tribunale ha respinto la domanda
attrice. Proposto appello dal soccombente, a cui ha resistito la C., restando
contumace A.F., con sentenza depositata il 12 dicembre 2012 n. 5121, la Corte
di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la
C. alla restituzione dell’immobile nel termine di sei mesi dal deposito della
sentenza, compensando le spese processuali del doppio grado. La C. propone
ricorso per cassazione. Resiste A.G. con controricorso.
2. – Con l’unico motivo la ricorrente, denunciando
violazione degli art. 1809 e 1810 c.c., critica la sentenza impugnata per non
avere riconosciuto che il comodato era stato concesso perché l’immobile fosse
destinato ai bisogni della famiglia, circostanza che risulterebbe da vari dati
di fatto, disattendendo così anche i principi enunciati da questa Corte a
Sezioni unite circa la stabilità che deve essere attribuita a tal genere di
rapporti, a tutela delle esigenze familiari (Cass. civ. S.U. n. 13603/2004).
3.- Il motivo è
inammissibile poiché mette in questione esclusivamente le valutazioni di merito
in base alle quali la Corte di appello ha escluso essere stata raggiunta la
prova della destinazione dell’immobile ad abitazione della famiglia, senza
prendere in esame né poter disattendere le argomentazioni con cui la decisione
è stata motivata, sicché il motivo di ricorso neppure è congruente con la ratio
decidendi della sentenza impugnata. La Corte di appello ha rilevato che il
contratto di comodato immobiliare fra padre e figlio è stato stipulato con atto
scritto, registrato da notaio (omissis) il 19 aprile 2000; che dall’atto
scritto risulta che il contratto è stato concluso a tempo indeterminato, senza
alcuna menzione del vincolo di destinazione; che il rapporto va quindi
assoggettato alla norma dell’art. 1810 c.c., secondo cui, in mancanza di un
termine di durata, il bene oggetto del comodato deve essere restituito dal
comodatario non appena il comodante lo richieda; che tale pattuizione non può
ritenersi modificata da mere situazioni di fatto. Trattasi di motivazione
corretta e conforme alla legge, alla quale la ricorrente nulla ha potuto
obiettare, limitandosi a svolgere generiche considerazioni, inidonee a
dimostrare la sussistenza di patti aggiunti alla suddetta scrittura,
debitamente consacrati per iscritto o comunque suscettibili di essere
dimostrati ai sensi dell’art. 2723 c.c..
4.- Propongo che il ricorso sia dichiarato inammissibile con
ordinanza in Camera di consiglio”.
La relazione è stata comunicata ai difensori delle parti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio, esaminati gli atti, condivide la soluzione e
gli argomenti esposti nella relazione. Il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile. Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate
complessivamente in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro
4.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori
di legge. Ricorrono gli estremi di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater, per la condanna della ricorrente al pagamento dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso
principale. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta
Civile – 3, il 17 aprile 2015. Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2015