Il profilo civile e quello penale. Sono i due aspetti sui quali si concentra questa seconda puntata dell’excursus giuridico a cura dell’avvocato Rodolfo Cusano circa le responsabilità dell’amministratore di condominio nello svolgimento delle proprie mansioni (Clicca qui per leggere la prima puntata).
Il fondamento della responsabilità civile dell’amministratore è da rinvenirsi nell’articolo 1710 c.c., in base al quale il mandatario deve eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; ne segue una sua responsabilità contrattuale in caso di inadempimento dei doveri nascenti dal mandato stesso.
Con riguardo all’elemento soggettivo, è sufficiente il configurarsi di colpa nell’esecuzione degli obblighi posti a suo carico perché si abbia responsabilità dell’amministratore di condominio, non essendo richiesto dunque il dolo, ossia l’agire con l’intenzione di cagionare un danno al condominio o a terzi. La colpa si ravvisa quando vi sia negligenza, imperizia o cattivo uso dei poteri di cui dispone l’amministratore, e nell’inadempimento di uno qualsiasi degli obblighi posti a suo carico dalla disciplina della materia, con conseguente obbligo di risarcire i danni causati. L’amministratore non incorre, invece, in responsabilità per colpa, quando il danno sia stato cagionato da caso fortuito o forza maggiore, non prevedibile o non evitabile. Non è configurabile responsabilità dell’amministratore anche nel caso in cui abbia agito secondo l’ordinaria prudenza e diligenza, rispettando le norme legislative o regolamentari.
Le fonti degli obblighi dell’amministratore possono essere molteplici, rinvenendosi innanzitutto nelle norme codicistiche, poi nelle ordinanze e regolamenti comunali, disposizioni di pubblica sicurezza, regolamento condominiale e nelle delibere dell’assemblea di condominio.
Norma di generale applicazione è l’articolo 1176 c.c., da cui deriva che, nonostante la gratuità dell’incarico, l’amministratore non è esonerato da responsabilità per ignoranza delle norme tecniche e giuridiche che trovano applicazione in questo ambito. In tal evenienza, egli risponde, però, solo per dolo o colpa grave, ai sensi dell’articolo 2236 c.c., come nel caso in cui il danno derivi da una sua omissione. Perché si escluda la colpa grave, l’amministratore deve aver predisposto tutte le cautele e mezzi ritenuti necessari ad evitare il verificarsi di danni. L’amministratore, inoltre, è tenuto a non eseguire una delibera assembleare illecita, con cui ad esempio si stabilisce di non applicare una norma di legge, perché in tal caso essa non è vincolante per lo stesso in quanto completamente nulla e, come tale, inesistente.
L’amministratore incorre in responsabilità anche nel caso di mancata tempestiva informazione di una delibera assembleare che abbia diretta incidenza sul patrimonio del singolo condomino.
La responsabilità civile dell’amministratore che abbia agito in nome e per conto del condominio, nei limiti delle proprie attribuzioni, o in esecuzioni di delibere assembleari, è riconducibile a quella prevista in tema di rappresentanza. Se, ad esempio, questi non adempie ad un’obbligazione, l’azione del terzo potrà rivolgersi sia contro l’amministratore sia contro i singoli condòmini, essendo ognuno di essi obbligato in via solidale. Il condomino che abbia pagato può, poi, rivolgersi in via di regresso sia verso l’amministratore, sia verso i singoli condòmini, dovendo la somma da lui versata per l’intero ripartirsi tra costoro secondo le tabelle millesimali.
Lo stesso dicasi per i danni cagionati dall’amministratore con un suo atto illecito. In tal caso entra in gioco la responsabilità extracontrattuale, ex articolo 2043 c.c. Bisogna, però, distinguere due eventualità: nella prima – per i danni arrecati a terzi da un comportamento dell’amministratore non rientrante negli obblighi suoi propri o che travalichino i limiti delle sue attribuzioni – egli è personalmente ed esclusivamente responsabile; mentre per i danni sofferti da terzi in conseguenza di atti che siano esecuzione di compiti rientranti nei suoi doveri oppure nell’esecuzione di delibere assembleari, allora la responsabilità è stata configurata dalla giurisprudenza in capo al condominio.
Comunque, ed in ogni caso, la responsabilità dell’amministratore verso i condòmini per i danni loro arrecati dal suo atto illecito può essere esclusa da delibera assembleare, che deve essere approvata all’unanimità, ratificando il suo operato.
La giurisprudenza ha sostenuto l’applicabilità dell’articolo 2051 c.c. in materia condominiale, riguardante la responsabilità per danni arrecati dalle cose in custodia, precisandosi che custode della cosa è chi ne ha la materiale disponibilità. Per quanto concerne il condominio, deve ritenersi che l’amministratore ne abbia la custodia per conto del primo. Ma essendo la custodia di spettanza del condominio, una responsabilità aquiliana verrebbe a configurarsi proprio a carico di questo ultimo. È interessante a questo punto analizzare alcuni casi pratici che la giurisprudenza si è trovata ad affrontare, la cui risoluzione può aiutare a comprendere le sfere di responsabilità del condominio e dell’amministratore.
In caso di occlusione di fognature, è stata affermata la responsabilità del condominio per i danni cagionati dalla fognatura condominiale all’appartamento di un condomino. Analogamente si sostiene per danni subiti da terzi. Lo stesso convincimento da parte della giurisprudenza si rinviene per un’ipotesi piuttosto frequente, ossia quella dei danni che l’appartamento di un condomino viene a subire a causa di infiltrazioni d’acqua provenienti dal terrazzo di copertura, o ancora per l’infortunio di una persona caduta dalle scale dello stabile per cattivo funzionamento della luce. Seguendo tale indirizzo giurisprudenziale, può affermarsi che non si configuri un’autonoma e personale responsabilità dell’amministratore, poiché questo ultimo non assume in proprio la custodia dei beni comuni.
Al contrario, è stata affermata la responsabilità personale dell’amministratore nel caso in cui egli non abbia dato esecuzione ad una delibera assembleare che disponeva l’effettuazione di lavori e riparazioni necessarie del bene comune. Ciò non contrasta con il principio in precedenza affermato, poiché in tale situazione l’amministratore si rende inadempiente ad un obbligo che inerisce specificamente all’esercizio delle sue funzioni.
Non si configura responsabilità dell’amministratore nel caso di atti arbitrari o abusivi compiuti da singoli condòmini sulle cose comuni, non rientrando tra i propri doveri anche quello di vigilanza o di impedire che i singoli condòmini violino norme di legge. Così, ad esempio, non è responsabile di un furto subito ad opera di ladri entrati nell’abitazione attraverso un’impalcatura installata lungo la facciata dell’edificio condominiale. Per i danni arrecati a terzi che siano diretta conseguenza dell’operato dell’amministratore, il condominio risponde in via principale, con possibilità di rivalersi nei confronti dell’amministratore . Così nel caso in cui l’amministratore non provveda a dare esecuzione ad una delibera che aveva disposto la riparazione del tetto, il proprietario dell’autovettura danneggiata potrà ottenere il risarcimento dei danni dal condominio, il quale a sua volta potrà agire in rivalsa contro l’amministratore.
L’amministratore, nel rispetto dei suoi obblighi di diligenza, ha la facoltà di non eseguire delibere assembleari di cui preveda una modifica o revoca o che siano del tutto nulle e deve attendere il decorso del termine ai fini dell’impugnativa quando la delibera sia stata adottata in seguito a forti contrasti tra i condòmini. Come abbiamo visto, gli obblighi che discendono dal mandato sono per l’amministratore in via generale quelli di svolgere correttamente le sue funzioni, rispondendo in caso contrario per responsabilità contrattuale nei confronti del condominio.
In particolare, egli è tenuto alla manutenzione e alla gestione dei beni comuni (articolo 1130, primo comma, n. 2, c.c.). Nello svolgimento di tali compiti egli deve attenersi al rispetto delle norme di legge ed al regolamento di condominio. È data ai condòmini la possibilità di scegliere l’uso dei beni comuni, sempre che non se ne alteri la destinazione e non si impedisca agli altri condòmini un pari uso conforme al loro diritto (articolo 1102 c.c.). Inoltre, all’obbligo di gestione ordinaria si aggiunge per l’amministratore quello di intervenire per lavori urgenti e indispensabili alla salvaguardia dei beni comuni o alla sicurezza e all’incolumità dei condòmini o di terzi.
È stata ravvisata in giurisprudenza una situazione di urgenza, cui l’amministratore deve porre rimedio per evitare danni ulteriori ai condòmini, nel caso di infiltrazioni d’acqua provenienti dal terrazzo di copertura. In mancanza, è configurabile la responsabilità dell’amministratore, da far valere con un’azione di responsabilità per danno, promossa dal condominio. I terzi che abbiano subito danni dalla violazione di tali obblighi possono proporre azione risarcitoria ex articolo 2043 c.c. direttamente nei confronti dell’amministratore.
L’amministratore, invece, andrà esente da ogni responsabilità se i condòmini non collaborano, ad esempio, impedendo l’accesso alle proprie abitazioni. Il condominio, da parte sua, deve dotare l’amministratore dei mezzi necessari all’espletamento dell’incarico e all’adempimento delle obbligazioni contratte (artt. 1719 c.c., 1130 n. 3 c.c.).
L’amministratore risponde, inoltre, per l’omesso versamento dei contributi previdenziali a carico del condominio, il quale può proporre azione di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale all’obbligo di eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia .
A questo punto della disamina, possiamo concludere con l’affermare che il condominio, ed in ultima soluzione i condòmini, sono responsabili per l’attività espletata dall’amministratore che ha arrecato danni nei casi di negligenza, cattivo uso o inadempimenti vari. La rilevanza di tali violazioni ha però importanza solo nei rapporti tra l’amministratore ed il condominio. Infatti, verso i terzi i condòmini stessi restano responsabili per l’opera compiuta dall’amministratore, responsabilità che si cumula con quella extracontrattuale dell’amministratore stesso. Il quale risponderà nei confronti del terzo anche in caso di colpa lievissima. Chiaramente, ciò avverrà in tutti i casi in cui il fatto lesivo dell’amministratore è in rapporto di occasionalità necessaria con l’espletamento delle sue funzioni.
L’amministratore è suscettibile di incorrere anche in responsabilità penale, quando commetta reati nell’esercizio delle sue funzioni. Dati i molteplici obblighi cui egli è tenuto, in caso di inadempimento troverà applicazione l’articolo 40, secondo comma c.p., che disciplina il reato omissivo, il quale prevede che: “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. In questi casi, la giurisprudenza ha precisato che la fonte dell’obbligo può provenire da un ramo qualsiasi del diritto, quindi anche da quello privato. È chiaro, quindi, che per esservi reato vi deve essere un obbligo giuridico di attivarsi in un dato senso per prevenire eventi dannosi.
L’amministratore può incorrere in responsabilità penale, come ogni altro cittadino, quando commetta, ad esempio, reati comuni nei confronti dei condòmini, quali l’ingiuria (articolo 594 c.p.) o la diffamazione (articolo 595 c.p.). Questo ultimo reato, ad esempio, può essere commesso dall’amministratore mediante affissione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale, contenente la comunicazione della denuncia di un condomino da parte dell’amministratore stesso.
Altri reati comuni ravvisati a carico dell’amministratore sono la violazione di domicilio, ad esempio quando l’amministratore si introduca nell’appartamento di un condomino contro la sua volontà per effettuare delle verifiche autorizzate da delibera. Infatti, in caso di resistenza del condomino l’amministratore deve adire l’autorità giudiziaria.
L’amministratore può anche essere imputato di omicidio colposo o lesioni colpose a danno di condòmini o di terzi quando siano derivate dall’omissione di misure di sicurezza degli impianti elettrici condominiali o da mancata effettuazione di lavori urgenti sulle parti comuni del condominio.
Vi sono poi delle fattispecie di reato che sono configurabili per lo più proprio a carico dell’amministratore in quanto specificamente connesse ai doveri cui questi è tenuto. In tali casi i reati commessi sono definiti propri, nel senso che possono essere commessi solo da chi riveste la qualifica di amministratore di condominio. Sul punto è opportuno precisare che la dottrina ha ritenuto responsabili sia i cd. amministratori di fatto, sia i mandatari o i custodi, nei casi in cui non vi fosse la nomina esplicita dell’amministratore.
Innanzitutto, l’amministratore è stato riconosciuto responsabile, in base all’articolo 677 c.p., per l’omissione di lavori di manutenzione ordinaria, indispensabili al fine di scongiurare pericoli derivanti dalle parti comuni dell’edificio. La responsabilità dell’amministratore sussiste tuttavia solo per i lavori necessari alla manutenzione ordinaria, mentre per quella straordinaria egli ha il dovere di intervenire solo per le opere urgenti e improrogabili. Analogamente accade per gli intonaci pericolanti dell’edificio.
La norma penale prevede che, anche un soggetto diverso dal proprietario può essere obbligato alla manutenzione o riparazione dell’edificio. Quindi, in un condominio in cui sia stato qualificato responsabile l’amministratore, grava su costui l’obbligo giuridico di rimuovere ogni situazione di pericolo che discenda dalla rovina di parti comuni, che egli sia tenuto a conservare in buono stato. In tale evenienza, vi è responsabilità del proprietario di tipo solo sussidiario, quando l’amministratore non possa adempiere ai propri obblighi per cause non riconducibili alla sua volontà.
Obbligo autonomo del proprietario si ravvisa nel momento in cui per fattori imprevedibili l’amministratore non sia in grado di attivarsi per evitare il pericolo di rovina già manifestatosi. Esauriente appare la spiegazione fornita sul punto dalla Cassazione, la quale ha affermato che “l’amministratore di un condominio, il quale agisca per conto dello stesso oppure per conto di un singolo proprietario, è titolare dei poteri relativi alla gestione e conservazione della cosa comune e dei servizi comuni, comprendendosi in tale accezione anche l’obbligo di attivarsi al fine di eliminare situazioni di pericolo che possano comportare una violazione dell’obbligo giuridico del neminem laedere”.
L’articolo 650 c.p. punisce con l’arresto fino a tre mesi chi non ottempera ad un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica ordine pubblico o igiene. La norma, pur non essendo specifica, può trovare applicazione anche nei confronti dell’amministratore, quando gli sia stato ordinato di eseguire opere sulle parti comuni dell’edificio con caratteristiche rientranti nella disposizione. Così avviene per l’inadempimento di un ordine dell’Autorità notificatogli, che gli impone di ridurre la rumorosità dell’impianto di riscaldamento.
L’amministratore è responsabile in via esclusiva anche dell’uso di combustibili proibiti. Sussiste, infatti, la sua responsabilità penale nel caso di violazione della legge 615/1966, relativa all’inquinamento atmosferico, la quale impone l’obbligo di denunziare al comando dei vigili del fuoco l’installazione di un nuovo impianto termico di potenza superiore alle 30.000 kcal/h o la trasformazione o l’ampliamento di un impianto preesistente. La Corte di Cassazione in proposito ha precisato che ricadono sull’amministratore tutti gli oneri amministrativi riguardanti servizi comuni, compresi quelli relativi al servizio di riscaldamento centrale.
L’amministratore è responsabile anche in caso di mancata richiesta del certificato provvisorio antincendio e della domanda di rinnovo del certificato di prevenzione incendi.
Inoltre, la Corte di legittimità ha espresso l’avviso di configurare penalmente responsabile l’amministratore colpevole di aver omesso gli obblighi assicurativi e contributivi per il personale alle dipendenze del condominio. L’amministratore è tenuto a versare i contributi previdenziali per tutto il personale dipendente assunto. In questa sede è opportuno rilevare che il condominio, quando è anche datore di lavoro (ad esempio nei rapporti di portierato) deve garantire la sicurezza del luogo di lavoro, per esempio rispetto alle esposizioni pericolose ai campi elettromagnetici (articolo 2087 c.c.).
In generale, l’obbligo giuridico di risarcire il danno prodotto per lo svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è posto dall’articolo 2050 del codice civile a carico dell’esercente l’attività pericolosa il quale deve provare e dimostrare, per scagionarsi dalla responsabilità, di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Ai fini della responsabilità sancita dall’articolo 2050 del codice civile debbono essere ritenute pericolose oltre alle attività previste dall’articolo 46 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza e alle attività prese in considerazione per la prevenzione degli infortuni o per la tutela della incolumità pubblica, anche tutte quelle altre che, pur non specificate o disciplinate, abbiano tuttavia una pericolosità intrinseca o comunque dipendente dalle modalità di esercizio o dai mezzi di lavoro o macchinari impegnati.
Costituiscono, pertanto, attività pericolose tutte quelle che comportano rilevante possibilità del verificarsi di danni per loro natura o per le caratteristiche dei mezzi usati non solo nel caso di danno come conseguenza di un’azione, ma anche in caso di danno derivante da omissione di cautele. L’articolo 2050 c.c. postula una successione continua e ripetuta di atti che si svolgono nel tempo e che rivela una notevole potenzialità di danno, superiore al normale ed apprezzabile in un momento anteriore all’evento dannoso, così da consentire all’operatore la predisposizione di adeguate misure di prevenzione e da costituire il parametro di commisurazione della diligenza dovuta, la cui mancanza integra la colpa presunta di cui all’articolo citato.
La presunzione di responsabilità posta dall’articolo 2050 c.c. può essere vinta soltanto fornendo la prova particolarmente rigorosa a carico dell’esercente l’attività pericolosa di aver adottato tutte le misure idonee ad impedire il danno, non essendo sufficiente la prova di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza. Ai fini dell’accertamento della responsabilità di cui all’articolo 2050 c.c. il giudizio sulla pericolosità dell’attività (ossia su quella attività che, per sua natura o per i mezzi impegnati, renda probabile, e non semplicemente possibile, il verificarsi dell’evento dannoso, distinguendosi, così, dall’attività normalmente innocua, che può diventare pericolosa per la condotta di chi la esercita, comportando la responsabilità secondo la regola generale di cui all’articolo 2043 c.c.), va espresso non sulla base dell’evento dannoso effettivamente verificatosi, bensì attraverso una prognosi postuma, sulla base delle circostanze di fatto che si presentavano al momento stesso dell’esercizio dell’attività ed erano conoscibili dall’uomo medio, o, comunque, dovevano essere conosciute dall’agente in considerazione del tipo di attività esercitata.
L’articolo 2043 c.c. chiude il sistema risarcitorio garantito dal codice ogni volta che un fatto doloso o colposo cagioni ad altri un danno ingiusto.