In caso di rifacimento dell’impianto fognariocondominiale, anche il condomino che non vi è allacciato, utilizzando un
impianto proprio, è soggetto alla spesa pro-quota. È quanto stabilito dalla
Corte di cassazione con la sentenza 13415 del 30 giugno, di cui riportiamo un
estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 30.6.2015, n. 13415
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CONSIDERATO IN FATTO
S.A. proponeva opposizione, innanzi al Giudice di
Pace di Roma, avverso il decreto ingiuntivo n. … con cui, su istanza del
condominio di via … di Roma, gli veniva ingiunto il pagamento della somma di
euro 1.765 a titolo di quota di spettanza per lavori di rifacimento
dell’impianto fognario comune.
L’opponente deduceva che il proprio locale
rimessa sottostante l’edificio condominiale era dotato di un proprio impianto
fognario autonomo “a dispersione”.
L’adito Giudice di prime cure rigettava la
proposta opposizione al detto D.I. con condanna alle spese di lite.
Avverso la succitata decisione interponeva
appello il S.A..
Resisteva al gravame il condominio.
Con sentenza n. 4684/2009 il Tribunale di Roma, in
funzione di Giudice di appello, rigettava l’impugnazione con condanna
dell’appellante alle spese di giudizio.
Per la cassazione dell’anzidetta decisione
ricorre il S.A., nonché la V.F. s.p.a. – quale odierna proprietaria del locale
per cui è causa giusto conferimento del medesimo S.A. – con atto fondato su due
ordini di motivi.
Resiste con controricorso il condominio intimato.
Hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378
c.p.c., i ricorrenti.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo del ricorso si deduce il
vizio di “nullità per omessa motivazione ex n. 5 art. 360 c.p.c.”.
Parte ricorrente lamenta, nella sostanza, che la
“la motivazione della sentenza di gravame impugnata è assolutamente
incomprensibile”.
La censura non è fondata.
La motivazione della sentenza impugnata non è
affatto omessa o incomprensibile.
In effetti dalla lettura della parte motivata
della gravata decisione risultano le ragioni, adottate con condivise
argomentazioni, su cui è fondato il decisum della sentenza di appello.
In quest’ultima vi è idonea spiegazione del fatto
che il S.A. (pur avendo un proprio impianto fognario e non utilizzando quello
condominiale) era comunque tenuto al richiesto pagamento.
Infatti il ricorrente, in quanto comproprietario
dell’impianto fognario condominiale, era tenuto al pagamento pro quota
delle spese necessarie alla sua conservazione in misura proporzionale al valore
della sua proprietà esclusiva del locale interrato sottostante il condominio di
via … in Roma.
In ogni caso deve ribadirsi che “con riguardo
all’impianto di fognatura di un edificio in condominio l’indagine diretta a
stabilire se il condomino, che non utilizzi detto impianto per essere collegato
con altro impianto, sia ugualmente comproprietario dell’impianto condominiale
e, quindi, in applicazione dell’art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere alle
spese inerenti la sua conservazione va condotta in base ai criteri indicati
dall’art. 1117 c.c. sull’individuazione delle parti comuni” ( Cass. civ, sez.
II, sent. 6 dicembre 1991, n. 13160).
Ed, ancora, va ribadito che proprio “i manufatti
come le fognature e simili rientrano fra le parti comuni dell’edificio, ex art.
1117 n. 3 c.c., le cui spese per la conservazione sono assoggettate alla
ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà” (Cass.
civ., sez. II, sent. 27 novembre 1990, n. 11423).
Il motivo in esame è, quindi, infondato e deve
essere rigettato.
2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce il
vizio di “violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 1123 c.c., ex n. 3
art. 360 c.p.c.”.
Il motivo è assistito dalla formulazione di
quesito teso a conoscere se “per la ripartizione delle spese di manutenzione di
un bene asseritamente comune ma non utilizzato è legittimo applicare il
criterio stabilito con il terzo comma dell’art. 1123 c.c. che fa riferimento al
concreto utilizzo del medesimo ovvero debbasi, comunque, far ricorso al
criterio generale previsto dall’art. 1117 c.c. od a quello del primo comma del
medesimo articolo 1123 c.c.”.
Il motivo, anche per lo stesso ordine di ragioni
innanzi già esposte a proposito dell’esame del precedente motivo, è infondato.
Deve, inoltre, rilevarsi che in atti non è
contestata la qualifica di proprietario, da parte del ricorrente, di unità
immobiliare facente parte del condominio de quo.
Tanto non poteva e non può che comportare, per lo
stesso ordine di ragioni innanzi già spiegate, la doverosità della
compartecipazione pro-quota alle spese di rifacimento dell’impianto
ancorché non utilizzato.
Al riguardo giova evidenziare che le spese di
mantenimento e difesa di una parte comune come l’impianto fognario “non
rientrano fra quelle di cui alle norme ai commi secondo e terzo dell’art. 1123
c.c., le quali riguardano le cose comuni suscettibili di destinazione al
servizio dei condòmini in misura diversa ovvero al godimento di alcuni
condòmini e non di altri” (Cass. civ., sez. Il, sent. 4 maggio 1999, n. 4403).
Infine deve rilevarsi che la pretesa esclusione
rispetto all’affermato obbligo di contribuzioni pro-quota non risulta neppure
essere stata suffragata sotto altro profilo: l’individuazione delle parti
comuni dell’edificio risultante dall’art. 1117 c.c. non è stata “superata dalle
opposte risultanze di un determinato titolo” ( Cass. civ. sez. II, sent.1°
agosto 2002, n. 11391 e SS. UU. n. 744911993).
Il motivo va, pertanto, respinto.
3. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
4. Le spese seguono la soccombenza e si
determinano così come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i
ricorrenti, in solido, al pagamento in favore del Condominio controricorrente
delle spese del giudizio, determinate in € 2.200, di cui € 200 per
esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.