Il terreno di sedime del fabbricato condominiale, in mancanza di titolo contrario, è funzionalmente a servizio esclusivo dell’edificio stesso: non può dunque essere sottratto da un singolo condomino al pari utilizzo da parte degli altri. Questa la sentenza della Corte di Cassazione in merito ad una vicenda piuttosto singolare, che ripercorriamo di seguito.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 2.2.2017,
n. 2801
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. M.R., proprietario di un appartamento sito al piano rialzato dello stabile sito in …, venne citato innanzi al locale Tribunale dal Condominio del quale faceva parte per sentir dichiarare la illegittimità dell’escavazione del sedime sottostante i locali di proprietà esclusiva e per sentir ordinare la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, avendo il convenuto ricavato due locali interrati, collegati al proprio immobile con una scala e successivamente locati a terzi in violazione del regolamento condominiale. Il M.R. si costituì eccependo l’inammissibilità dell’azione per carenza di legittimazione ad agire dell’amministratore, in mancanza di delibera di autorizzazione assembleare; nel merito affermò la liceità del proprio operato assumendo che i lavori intrapresi sarebbero stati necessari per lo sprofondamento del pavimento del proprio appartamento dovuto a perdita idrica dalle condotte fognarie condominiali, non altrimenti rimediabile; svolse domanda riconvenzionale per essere ristorato del costo dei lavori eseguiti. (omissis)
2. L’adito Tribunale accolse la domanda del Condominio e respinse quella del M.R.; tale pronuncia fu riformata dalla Corte di Appello di Catanzaro nella sola parte relativa al rigetto della domanda riconvenzionale, peraltro con una drastica riduzione dell’importo richiesto, parametrato non già al costo dei lavori intrapresi bensì al costo delle opere di tinteggiatura di alcuni locali dell’appartamento.
3. La Corte del merito (omissis) ribadì che, anche alla luce della consolidata interpretazione di legittimità, l’escavazione del sedime condominiale costituiva una sottrazione dell’area all’utilizzo comune ai sensi dell’art. 1102 cod. civ.; giudicò infondata la tesi della necessità delle opere intraprese, in ciò richiamando le risultanze della consulenza tecnica di ufficio. Ritenne infine di compensare per un terzo le spese di lite, in ragione della minima soccombenza del Condominio.
4. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il M.R., svolgendo cinque motivi di annullamento; ha resistito il Condominio con controricorso, illustrato da successiva memoria; la s.p.a. L.N. non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
(omissis)
3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1102, 1117, 1110 e 2043 del cod. civ. nonché vizio di motivazione – ricondotto in maniera indifferenziata a tutti e tre i profili contemplati dall’art. 360, I comma n. 5 c.p.c. (nella formulazione anteriore alla riforma operata con il decreto legge n. 83/2012, convertito nella legge 134/2012) – lamentando la parte ricorrente che è stato ordinato il ripristino dello stato dei luoghi senza approfondire la riconducibilità della fattispecie concreta ai confini applicativi dell’art. 1102 cod. civ.; in particolare la Corte del merito avrebbe omesso di indagare se i condòmini potessero liberamente accedere ai nuovi locali; se questi ultimi fossero necessari per le esigenze comuni o non piuttosto fossero funzionali al solo godimento dell’appartamento al quale accedevano; ripropone altresì una rivisitazione delle prove testimoniali al fine di dimostrare che l’area di sedime non costituisse presuntivamente area condominiale ai sensi dell’art. 1117 cod. civ..
3.a. Il motivo è infondato perché il terreno di sedime del fabbricato condominiale, in mancanza di titolo contrario, è funzionalmente a servizio esclusivo dell’edificio stesso e perché la sua consistente alterazione (nello caso in esame fu effettuato uno scavo di metri 1,70 in profondità) è destinata potenzialmente ad incidere sulla statica del fabbricato: è del tutto irrilevante che i condòmini non abbiano accesso a i nuovi vani in quanto la condominialità costituisce una qualitas rei ed il mancato accesso ai nuovi locali così inglobati nella proprietà singolare costituisce ulteriore dimostrazione della sottrazione ad un potenziale e concorrente uso comune. Più in generale, sulla sottrazione all’utilizzo dei condòmini dell’area di sedime escavata da uno di essi, vedi ex multis: Cass. Sez. 2, n. 6154/2016; Cass. Sez. 2, n. 17141/ 2006; non dissonante rispetto al principio sopra esposto è Cass. Sez. 2, n. 19915/2014, stante l’incidenza della concreta fattispecie colà esaminata (escavazione di 60 cm. di profondità) ad essere più approfonditamente esaminata in sede di rinvio (ibidem: “1.4.4. – Al contempo, la valutazione della destinazione della cosa, di cui è vietata l’alterazione, deve essere condotta in una prospettiva dinamica del bene considerato. Oggetto della tutela apprestata dall’art. 1102 c. c., è la preservazione della destinazione complessiva del bene comune, non la mera immodificabilità materiale dello stesso, e il relativo giudizio, che va formulato caso per caso, tenuto conto delle situazioni peculiari, si risolve in un giudizio di fatto sindacabile in sede di legittimità solo per limiti motivazionali.”): nel caso attualmente in esame, al contrario di quello valutato da Cass.19915/2014, vi è stata una valutazione specifica della Corte di Appello dell’incidenza funzionale dell’alterazione allo strato di sedime, in ragione della creazione di addirittura due vani, dati poi in locazione a terzi.
(omissis)
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta un vizio di motivazione per non aver ricevuto ristoro per le spese sostenute per le opere intraprese: la censura è inammissibile per genericità degli assunti ed è anche assorbita dalla negazione della liceità delle opere stesse, così che correttamente la Corte del merito ha riconosciuto solo un limitato ripristino, relativo alle sole spese di risanamento dei locali del ricorrente, risultati ammalorati dall’umidità di risalita.
(omissis)
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della parte contro ricorrente, liquidandole in curo 3.700 di cui 200 per esborsi.