Scolo di acque piovane: se il tubo è ad uso privato, il condominio non è responsabile. È
quanto deciso dalla Corte di Cassazione. Ecco la sentenza.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 26.8.2015,
n. 17151
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 22.5.2001, C.B. ed A.O. convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Cagliari, il condominio di Quartu Sant’Elena, via … e, premesso di essere proprietari dell’appartamento posto al piano terra dello stabile, lamentavano la modifica del tubo di scarico delle acque pluviali, apposto in corrispondenza della soprastante mansarda in quanto comportante, per chi accedesse all’appartamento di loro proprietà, un copioso getto di acqua con aggravamento della servitù a loro carico. Chiedevano, quindi, la eliminazione di detto tubo ad opera del condominio convenuto, che si costituiva eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, trattandosi di manufatto riguardante un balcone di proprietà privata.
Con sentenza, ex art. 281 sexies c.p.c., il Tribunale rigettava la domanda per difetto di legittimazione passiva di parte convenuta.
Avverso tale decisione il C.B. proponeva appello cui resisteva il condominio.
Con sentenza depositata il 21.2.2008 la Corte di Appello di Cagliari rigettava l’appello ribadendo che il tubo di scolo delle acque piovane era sistemato nel terrazzino di proprietà singola di un condomino, per servire evidentemente al deflusso delle acque che si raccoglievano in tale terrazza e che, pertanto, trattandosi di un bene non comune, il condomino non aveva alcuna legittimazione alla rimozione dello stesso.
Per la cassazione di tale decisione C.B. propone ricorso sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso il condominio di via … in Quartu Sant’Elena.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
1) falsa applicazione degli art. 115-116 c.p.c. e 2727 c.c. in ordine alla valutazione delle prove ed al mancato apprezzamento di elementi presuntivi; controparte non aveva mai contestato che il tubo in discussione, ancorché apposto sul balcone di proprietà del singolo condomino, fungesse da scarico di acque non necessariamente piovane, provenienti da altre parti, superiori, del fabbricato ed, anzi, aveva omesso di rispondere all’interrogatorio formale sul punto; era, inoltre, incontestato l’allungamento del tubo in questione, circostanza indiziaria di una funzione eccedente quella degli altri tubi presenti nel fabbricato e comportante un aggravamento della servitù di scarico nel cortile di esso ricorrente;
2) difetto di motivazione sulle ragioni giustificatrici delle aumentate dimensioni del tubo oggetto di causa e sulla sua provenienza dal piano superiore;
3) illogicità della sentenza quanto alla statuizione delle spese processuali, non essendo stato considerato il rigetto della eccezione della inammissibilità dell’appello.
Il ricorso è infondato.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi ed attinenti alla medesima questione, riguardante la natura e le caratteristiche del tubo oggetto di causa.
Orbene, rileva il Collegio che dette censure non attingono la “ratio decidendi”, posta a fondamento della decisione impugnata, laddove la Corte di merito ha evidenziato, con valutazione di merito, immune di vizi logici e giuridici, che il tubo di scolo delle acque piovane era sistemato sul terrazzino di proprietà singola di un condomino, evidentemente per servire allo smaltimento delle acque di raccolta in tale terrazza; ha, inoltre, rilevato che le dimensioni del manufatto in questione non potevano modificarne la funzione, diretta a servire una proprietà esclusiva e non un bene comune.
Con riferimento a tale accertamento in fatto, comportante il difetto di legittimazione passiva del condominio resistente, dette doglianze vanno, quindi, disattese in quanto implicanti valutazioni probatorie alternative che non possono incidere sull’apprezzamento dei fatti e delle prove date dal Giudice di Appello.
Va, conseguentemente, respinta anche la terza censura relativa alla statuizione sulle spese processuali in quanto fondata su criterio della soccombenza dell’appellante.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 1.700 di cui euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.