Il proprietario dell’immobile locato, conservando la custodia delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati, è responsabile in via esclusiva dei danni arrecati a terzi da tali strutture e impianti; grava, invece, sul solo conduttore la responsabilità per i danni arrecati a terzi dagli accessori e dalle altre parti del bene locato, di cui il predetto acquista la disponibilità. È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 21788 del 27 ottobre, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., sent. 27.10.2015,
n. 21788
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 2000, M.N. convenne in giudizio M.S. per ottenere il risarcimento dei danni – patrimoniali e non – causati dalla fuoriuscita d’acqua da un flessibile dell’appartamento sovrastante il suo, di proprietà del convenuto.
Si difese M.S. sostenendo di aver concesso in locazione l’appartamento all’avvocato G.T. e che l’evento si era verificato nel momento in cui il conduttore aveva riallacciato l’utenza dell’acqua. Quando, cioè, l’obbligo di custodia dell’immobile locato era già passato al conduttore per legge ai sensi dell’articolo 1587 c.c. e per espressa previsione contrattuale. Chiese, quindi, di chiamare in causa il terzo e, nel merito, il rigetto della domanda. Si costituì il conduttore sostenendo che la fuoriuscita dell’acqua era stata causata da un flessibile della cucina lasciato libero e che, pertanto, non poteva essergli addebitata alcuna responsabilità perché era compito del proprietario consegnare l’impianto in stato di sicurezza.
Il Tribunale di Venezia, con la sentenza n. 132 del 17 gennaio 2005, accolse la domanda dell’attrice e condannò N.B., quale erede di M.S., al risarcimento dei danni pari a curo 39.595,87 oltre interessi e spese legali.
2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 2590 del 5 dicembre 2011 che ha ritenuto che il proprietario prima di consegnare l’appartamento al conduttore avrebbe dovuto applicare un tappo, o un rubinetto, al flessibile. E, il conduttore, avendo constatato la mancanza di tappo del flessibile, avrebbe dovuto provvedervi direttamente non potendo limitarsi a riattivare l’impianto idraulico in un appartamento disabitato. Conseguentemente, i giudici del merito:
1) hanno ridotto all’importo di euro 29.595,87, oltre interessi compensativi dall’occorso al saldo, il credito di M.N. nei confronti del B.N.;
2) hanno condannato il B.N. a rifondere alla M.N. le spese dei due gradi liquidate nella misura fissata dal Tribunale quanto al primo grado ed in complessivi euro 3.920 di cui euro 120 per spese, euro 1200 per diritti ed euro 2.600 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge quanto al presente grado;
3) hanno condannato G.T. a tenere indenne B.N. nella misura del 50% di quanto quest’ultimo è tenuto a pagare alla M.N. in forza dei capi che precedono e del capo 5 della sentenza impugnata;
4) hanno compensato le spese fra B.N. e G.T..
3. Avverso tale decisione, G.T. propone ricorso in Cassazione sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria.
3.1. Resiste con controricorso N.B..
3.2. La signora M.N. non svolge attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “violazione di norma di diritto: violazione degli artt. 1575 e 1587c.c. nonché degli artt. 2051, 2055 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1° n. 3, c.p.c.”.
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello non ha tenuto conto che il danno è stato provocato dal mancato collegamento dei flessibili della rubinetteria e che, in quanto tali, facciano parte dell’impiantistica interna all’immobile la cui responsabilità di manutenzione spetta integralmente al proprietario con la conseguenza che il conduttore è esente da qualsiasi responsabilità.
Il motivo è infondato.
Occorre principalmente stabilire a chi spetta la responsabilità, tra locatore e conduttore, di eventuali danni causati da infiltrazione. La responsabilità è diversa a secondo che gli impianti siano esterni o interni. E come già affermato da questa Corte (Cass. n. 13881/2010) in tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 cod. civ., occorre la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla stessa, e cioè la sua disponibilità giuridica e materiale, con il conseguente potere di intervento su di essa. Pertanto, il proprietario dell’immobile locato, conservando la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati, è responsabile in via esclusiva, ai sensi degli artt. 2051 e 2053 cod. civ., dei danni arrecati a terzi da tali strutture e impianti; grava, invece, sul solo conduttore la responsabilità, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., per i danni arrecati a terzi dagli accessori e dalle altre parti del bene locato, di cui il predetto acquista la disponibilità, con facoltà ed obbligo di intervenire onde evitare pregiudizi ad altri (Cass. n. 24737/2007). Pertanto, in base al predetto principio, il conduttore è sempre responsabile del danno causato da infiltrazioni d’acqua a seguito della rottura di un tubo flessibile esterno all’impianto idrico e sostituibile senza necessità di intervento implicante demolizioni perché tale oggetto non può essere qualificato come componente dell’impianto idrico interno.
Nel caso di specie i giudici della Corte d’Appello correttamente hanno attribuito la responsabilità al conduttore perché come emerso dalla C.T.U. si trattava di un flessibile esterno all’impianto murario e non di rottura di tubi all’interno della muratura. Ed era compito del conduttore trattandosi di un flessibile visibile ed esterno prima di riattivare l’impianto idraulico di fare tutti i controlli necessari.
Pertanto la Corte d’Appello non è incorsa in nessuna delle violazioni attribuitele perché ha statuito in linea con i principi espressi da questa Corte.
4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “violazione di norma di diritto: violazione dell’artt. 1223 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 10 n. 3 c.p.c.”.
Sostiene l’avv. G.T. che la sentenza non ha tenuto conto del riparto dell’onere della prova fissata dall’art. 2697 c.c. che prevede che l’onere di provare in giudizio la perdita economica ricade sulla parte che lamenta il danno e nel caso della signora M.N. è pacifica l’assenza di prova in relazione ai lavori sostenuti per la riparazione dell’immobile.
Il motivo è inammissibile.
Sul punto è passata in giudicato la statuizione relativa ai danni secondo cui il Tribunale “liquidava i danni in base alle risultanze peritali”. Il G.T. censura la sentenza di appello in ordine al quantum affermando che erroneamente il Tribunale aveva riconosciuto l’Iva in mancanza di fatture, così come aveva erroneamente liquidato il danno esistenziale (…) “aggiunge anche che era onere dell’attrice (…) non aggravare i danni (…). Quindi le “risultanze peritali in merito ai danni” non sono mai state impugnate se non per quanto riguarda l’Iva e i danni ex art. 1227, o per la riduzione generica dalla somma liquidata.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione di norma di diritto: violazione dell’art. 1227, 2° comma c.c. in relazione all’art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c.”.
La sentenza impugnata è errata perché non ha considerato che la negligente inerzia della signora M.N. nel procedere alla ristrutturazione dell’immobile ha determinato un aggravamento dei danni dalla stessa subiti.
Il motivo è infondato.
I giudici della Corte territoriale, pur se con coincisa motivazione, hanno correttamente dato atto che il Tribunale aveva già tenuto conto nella liquidazione dei danni della ritardata richiesta di ATP da parte della signora M.N. e che altre riduzioni non potevano essere accolte anche sulla base delle risultanze della C.T.U..
In ogni caso con il motivo in esame, il ricorrente pur denunciando, apparentemente, violazione di legge, chiede in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (Cass. n. 21381/2006).
5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.400 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.