Qualora l’unità immobiliare oggetto di contratto di locazione sia
venduta in blocco con altri immobili dello stesso complesso, al conduttore non
spetta il diritto di prelazione. È quanto statuito dalla Corte di Cassazione
con la sentenza 25036 dell’11 dicembre, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ, sent. 11.12.2015,
n. 25036
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RITENUTO IN FATTO
1. A.F. convenne, innanzi al Tribunale di Messina, M.A. e la società
“Immobiliare … s.r.l.”, premettendo che il M.A. gli aveva concesso in locazione
un’unità immobiliare, che – successivamente – il medesimo aveva alienato alla
società convenuta senza consentigli l’esercizio del diritto di prelazione,
dichiarò di voler esercitare il diritto di riscatto nei confronti della società
acquirente e, dichiarandosi pronto all’immediato pagamento della somma versata
da quest’ultima per l’acquisto, chiese che il Tribunale adito gli trasferisse
la proprietà del cespite e condannasse i convenuti al risarcimento del danno.
Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale di Messina rigettò le
domande attoree e compensò le spese processuali. Ritenne il giudice di primo
grado che la vendita posta in essere dal M.A. – che aveva avuto ad oggetto
diverse unità immobiliari dello stesso stabile – fosse da qualificare come
vendita c.d. “in blocco”, con conseguente inapplicabilità dell’istituto della
prelazione.
2. Sul gravame proposto in via principale dall’A.F. e in via
incidentale dai convenuti, la Corte di Appello di Messina rigettò l’appello
principale, confermando il rigetto delle domande attrici; in accoglimento
dell’appello incidentale, condannò l’A.F. a rifondere ai convenuti la metà
delle spese del primo grado del giudizio, oltre alle spese del giudizio di
appello.
3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre A.F. sulla base
di due motivi.
Resiste con controricorso la “Immobiliare … s.r.l.”. M.A., ritualmente
intimato, non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa
applicazione degli artt. 38 e 39 della legge n. 392/1978, nonché il vizio di
motivazione della sentenza impugnata, per avere i giudici di merito qualificato
la vendita immobiliare effettuata da M.A. come “vendita in blocco”, e non come
“vendita cumulativa”.
La censura non è fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione
di discostarsi, in tema di locazione di immobili urbani ad uso diverso da
quello abitativo, in caso di vendita, con un unico atto o con più atti
collegati, ad uno stesso soggetto di una pluralità di unità immobiliari, tra
cui quella oggetto del contratto di locazione, presupposto fondamentale perché
sorga il diritto di prelazione e il correlato diritto di riscatto di cui agli
art. 38 e 39 della legge n. 392 del 1978, è la perfetta identità tra il bene
venduto e quello condotto in locazione; poiché tale identità viene meno quando
detta vendita riguarda una pluralità di immobili, in una tale eventualità
occorre distinguere a seconda che si sia in presenza di una vendita in blocco
(che esclude il sorgere in capo al conduttore dei detti diritti) o, invece, di una
vendita cumulativa (che è irrilevante al fine dell’esercizio del diritto di
prelazione, limitatamente al bene oggetto del contratto di locazione). In
particolare, perché ricorra la vendita in blocco non è indispensabile che la
vendita riguardi l’intero edificio in cui è compreso quello locato ma è
sufficiente che i vari beni alienati, tra loro confinanti, costituiscano un unicum
e siano venduti (o promessi in vendita) non come una pluralità di immobili
casualmente appartenenti ad un unico proprietario e ceduti (o cedendi) ad un
soggetto diverso da colui che conduce in locazione per uso diverso uno di essi,
ma come complesso unitario, costituente un quid diverso dalla mera somma
delle singole unità immobiliari. A tale riguardo l’indagine del giudice del merito
non deve essere condotta solo sulla base della situazione oggettiva, di fatto,
esistente al momento della vendita (o della denuntiatio) ma deve,
altresì, tener conto del tenore del contratto di vendita (o del preliminare) e
di eventuali altri contratti che, pur se intervenuti tra soggetti parzialmente
diversi, possano dirsi collegati al primo, e sulla base di questo il giudice
deve apprezzare se le parti hanno o meno considerato la vendita dei vari
cespiti (anche, eventualmente, per motivi soggettivi) di un complesso unitario
non frazionabile (Sez. 3, Sentenza n. 23747 del 17/09/2008); spetta al giudice
del merito l’accertamento, insindacabile in sede di legittimità ove logicamente
e congruamente motivato, dell’unicità strutturale e funzionale del bene venduto
al fine di escludere o ammettere la prelazione o il riscatto (Sez. 3, Sentenza
n. 15897 del 20/07/2011).
Nella specie, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione
del richiamato principio di diritto, distinguendo tra “vendita in blocco” e
“vendita cumulativa” e qualificando il contratto stipulato dal M.A. come
“vendita in blocco” per il fatto che il detto contratto aveva ad oggetto una
serie di immobili facenti parte dello stesso stabile (tra cui quello oggetto
del rapporto di locazione) costituenti un unicum, un complesso unitario
distinto e diverso dal bene oggetto della locazione.
Non sussiste, pertanto, la pretesa violazione o la falsa applicazione
di norme di diritto; ma non sussiste neppure il preteso vizio di motivazione.
I giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di argomenti, le
ragioni della loro decisione sulla base del contenuto del contratto
(richiamando, tra l’altro, il fatto che il venditore avesse trasferito tutte le
sue quote indivise di proprietà dell’intero edificio, senza considerare
separatamente l’immobile locato; la circostanza che il prezzo d’acquisto era
stato determinato globalmente e parametrato al valore complessivo
dell’immobile); non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui
integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al
Collegio far rilevare che le stesse non sono illogiche; e che, anzi,
l’estensore della sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni
che giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure
del ricorrente sul punto.
2. Il secondo motivo – con cui si censura la statuizione della Corte
di Appello relativa alle spese invocandone la regolazione secondo soccombenza –
rimane assorbito nel rigetto del primo.
3. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna
della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese
processuali, liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e
condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore
della società “Immobiliare … s.r.l.”, che liquida in euro 2.700
(duemilasettecento), di cui e 200 per esborsi, oltre spese forfettarie ed
accessori di legge.