Una donna cade in condominio a causa del dislivello causato dal malfunzionamento dell’ascensore. Secondo la Cassazione non ha diritto a risarcimenti, in quanto c’erano le condizioni per evitare l’inciampo, a patto di prestare maggiore attenzione. Di seguito un estratto della sentenza 12895 del 22 giugno 2016.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., sent. 22.6.2016,
n. 12895
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L.P. propone ricorso, affidato a tre motivi esplicati da memoria, avverso la decisione della Corte di appello di Roma (del 30 ottobre 2012), la quale, in totale riforma della decisione del Tribunale, rigettò la domanda proposta nei confronti del Condominio … per il risarcimento del danno, ex art. 2051 c.c., subito in conseguenza di una rovinosa caduta mentre usciva dall’ascensore, attribuita al malfunzionamento dello stesso, che si era arrestato più in basso con un dislivello di circa 20 centimetri rispetto al piano di uscita.
Si difendono con distinti controricorsi il Condominio, che deposita memoria, e M.
s.r.l. (Ditta Ascensori).
Non si difende Reale Mutua Assicurazioni, pure chiamata in garanzia dal Condominio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La Corte di merito ha ravvisato il caso fortuito consistente nel comportamento negligente della danneggiata, quale comportamento disattento idoneo ad interrompere il nesso di causa tra l’evento ed il danno.
Sulla base della stessa ricostruzione del sinistro contenuta nell’atto di citazione, della risposta della stessa attrice all’interrogatorio formale – riferita anche allo stato di illuminazione dei luoghi – nonché delle caratteristiche di apertura a doppia porta dell’ascensore e dell’apprezzabilità del dislivello, ha attribuito causalmente il sinistro solo alla disattenzione della danneggiata.
2. La ricorrente censura la sentenza invocando violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. (primo motivo), tutti i vizi motivazionali, anche sotto il profilo della nullità della sentenza, in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. (secondo e terzo).
3. Sono inammissibili le censure contenute nel secondo e terzo motivo.
È applicabile, ratione temporis, l’art. 360 n. 5 c.p.c., come novellato nel 2012.
Secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite e consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (n. 8053 del 2014).
3.1. In applicazione di tale principio, nella specie, non è ravvisabile né motivazione omessa, né motivazione apparente, né insanabile contraddizione; non assume alcun rilievo la prospettata insufficienza di motivazione, che peraltro si sostanzia nella critica alla valutazione delle prove.
4. Va rigettato il terzo motivo, avendo la Corte di merito fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità.
«Ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito» (Cass. n. 23584 del 2013).
Infatti, nella specie, il dislivello di circa 20 centimetri avrebbe potuto essere intrinsecamente pericoloso; ma, le condizioni di illuminazione e la presenza della doppia porta, avrebbero reso superabile il pericolo – comunque ingeneratosi – se la danneggiata avesse tenuto un comportamento ordinariamente cauto, come mette in evidenza il giudice dei merito nel valutare così interrotto il nesso causale tra cosa ed evento.
5. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate secondo i parametri vigenti, seguono la soccombenza nei confronti dei controricorrenti. Non avendo l’Assicurazione svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.