Un solaio conteso tra due condòmini. Di chi è la proprietà? E quali prove ne vanno fornite? È la singolare vicenda sulla quale si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza 19500 delo 30 settembre 2015, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 30.9.2015,
n. 19500
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata 1’8.11.1994 A.M. agiva innanzi al Tribunale di Milano in rivendica della proprietà esclusiva di un solaio acquistato, insieme con un appartamento posto al terzo piano di uno stabile condominiale, in via (omissis) n. 11, con un atto pubblico del 1986, chiedendone il rilascio al convenuto, C.P., proprietario di altra unità immobiliare nel medesimo fabbricato.
Resistendo il convenuto, la domanda era respinta sia in primo grado, sia in appello davanti alla Corte distrettuale di Milano.
Quest’ultima osservava che la A.M. non aveva fornito e, a ben vedere, neppure offerto la prova rigorosa della proprietà del bene conteso. Ciò in quanto la documentazione prodotta, così come quella allegata alla relazione del c.t.u., non consentiva di risalire ad un acquisto a titolo originario dall’unico proprietario dello stabile, poi divenuto condominiale dal 1949. La continuità dei passaggi di proprietà dell’appartamento al terzo piano, con il pertinente “spazio di solaio”, era infatti documentata a ritroso solo fino all’atto di vendita dell’8.9.1976 tra la soc. C.C. e M.M.; né vi era prova che l’appellante A.M. o i suoi danti causa avessero posseduto la porzione di solaio in questione per il tempo necessario ad usucapirlo.
Avverso quest’ultima sentenza A.M. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso C.P., che propone ricorso incidentale.
Il controricorrente ha anche depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va respinta, perché generica e non autosufficiente, la deduzione d’inammissibilità dell’appello che l’odierna ricorrente aveva proposto contro la sentenza di primo grado, non essendone stato riprodotto l’esatto contenuto.
2. Con l’unico motivo del ricorso principale è dedotta l’omessa motivazione su fatti controversi e decisivi riguardanti la provenienza del bene conteso da un originario unico proprietario dell’intero stabile condominiale, e la continuità dei relativi passaggi di proprietà.
Quanto al primo aspetto, parte ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Milano non ha considerato che l’appartamento oggi di proprietà della A.M., (comprensivo delle sue pertinenze, tra cui la porzione di solaio in questione) apparteneva agli originari proprietari unici dello stabile (E.G. e C.L.), i quali tra il 1949 e il 1950 provvidero ad alienare a terzi le varie unità abitative (quella oggi di proprietà della ricorrente, con atto notaio C. dell’1.7.1950).
Quanto al secondo deduce che a pag. 11 della relazione del c.t.u. sono indicati tutti i suoi danti causa, fino a risalire ai proprietari unici dell’intero fabbricato, atti nei quali è sempre indicato il vano solaio e le relative coerenze.
3. Nei termini che seguono, il motivo è fondato.
Occorre premettere che il presente ricorso è soggetto, ratione temporis, all’art. 360, n. 5 c.p.c. nel testo anteriore alla modifica apportatavi dall’art. 54, comma l, lett. b D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12. Di guisa che è possibile censurare la sentenza anche sotto il profilo dell’omesso o insufficiente esame di un atto o di un documento riguardante un fatto controverso e decisivo, nel qual caso il vizio di omessa motivazione ricorre solo nel caso l’atto o il documento si rivelino idonei a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo od estintivo del rapporto giuridico in contestazione, tanto da condurre ad una pronunzia diversa; il potere-dovere di stabilire se il documento di cui si lamenta l’omesso esame sia, sul piano astratto e in base a criteri di verosimiglianza, tale da indirizzare ad una pronuncia diversa da quella adottata compete alla corte di cassazione in sede di esame del ricorso (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. per tutte, Cass. n. 9701/03).
3.1. Ciò posto, è noto che nell’azione di rivendicazione l’attore è soggetto ad un onere probatorio rigoroso (probatio diabolica) in quanto è tenuto a provare la proprietà del bene risalendo, anche attraverso i propri danti causa, sino a un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, mediante il cumulo dei successivi possessi uti dominus.
Tuttavia, il rigore probatorio si attenua quando il bene conteso provenga da un dante causa comune all’attore e al convenuto, nel senso che, in tale ipotesi, il rivendicante non ha l’onere di provare il diritto dei suoi autori fino all’acquisto a titolo originario, dovendo limitarsi a dimostrare l’originaria appartenenza del bene al comune dante causa (cfr. Cass. nn. 22598/10, 9303109, 4975/04, 4556/85, 439/85, 4276/84, 7081/83, 518/82, 5807/78, e 991/77).
3.1.1. Nello specifico, la Corte territoriale ha affermato che l’attrice non aveva fornito la prova rigorosa della proprietà della porzione di solaio rivendicata (cioè, stando alla ricostruzione del c.t.u. richiamata nella sentenza impugnata, il “quarto spazio di solaio” partendo “dal muro perimetrale eretto sul confine con il condominio di Via (omissis) n. 11”: v. pag. 5 sentenza d’appello); che la documentazione da lei prodotta non consentiva di risalire, anche attraverso i suoi danti causa, ad un acquisto a titolo originario del bene, dall’unico proprietario dello stabile poi divenuto condominiale nel 1949; che la continuità dei passaggi di proprietà dell’appartamento ora di proprietà A.M., con il pertinente spazio di solaio, era documentata a ritroso solo fino all’atto di vendita tra la soc. C. Corporation e M.M., per atto notaio C. dell’8.9.1976; e che, infine, l’attrice non aveva mai posseduto la porzione di solaio in questione, anche attraverso i suoi danti causa.
Vi è, però, che la relazione del c.t.u. enumera senza soluzioni di continuo (alle pagg. 11 e 12, richiamate nel ricorso) tutti i passaggi di proprietà dell’appartamento oggi di proprietà A.M., con l’indicazione delle coerenze, incluse quelle del solaio, fino a risalire ai proprietari dell’intero fabbricato poi divenuto condominiale, cioè E.G. e C.L..
Sicché la motivazione della sentenza impugnata appare carente sotto il duplice profilo: a) della mancata considerazione del fatto che gli atti consentono di risalire ad un comune dante causa di entrambe le parti (id est, i predetti proprietari unici dell’edificio), con le conseguenze anzi dette in punto di attenuazione dell’onere probatorio (che dunque non richiede necessariamente assolta la prova dell’usucapione o di altro acquisto a titolo originario, come pure sembrerebbe supporre la Corte milanese); b) e della conseguente mancata verifica del fatto che la porzione di solaio che avrebbe circolato, quale sua pertinenza, congiuntamente con l’appartamento oggi di proprietà A.M., corrisponda o meno a quello oggetto della domanda di rivendica.
4. È, invece, manifestamente inammissibile per difetto d’interesse il ricorso incidentale, in quanto diretto unicamente a far valere considerazioni ulteriori, rispetto a quelle su cui si fonda la pronuncia impugnata, a sostegno della difesa della parte odierna controricorrente (sull’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dalla parte interamente vittoriosa in appello, al solo fine di far valere una motivazione diversa da quella contenuta nella sentenza impugnata, la giurisprudenza di questa Corte è del tutto costante: v. da ultimo, Cass. n. 658/15).
5. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, la quale provvederà ad un rinnovato esame di merito, regolando altresì le spese di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso principale, inammissibile quello incidentale, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, la quale provvederà anche sulle spese di cassazione.