Nel valutare il rispetto o meno delle distanze legali nel caso di una
sopraelevazione, se in gioco ci sono delle pareti finestrate non vale alcuna
distinzione tra i settori di esse, secondo che siano o non dotati di finestre.
È quanto disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza 15529 del 23
luglio, di cui riportiamo un estratto.
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent.
23.7.2015, n. 15529
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. M.B. e M.O., con atto notificato l’11 aprile 2000,
citarono innanzi al Tribunale di Pordenone la spa Impresa B., esponendo di
esser proprietari di un immobile, con terrazza al secondo piano, dalla quale si
godeva visuale diretta ed obliqua, sito in Pordenone via …; sul lato ovest di
tale fabbricato sorgeva un tempo un vecchio edificio di due piani che era stato
poi ristrutturato e sopraelevato di un piano dalla società convenuta la quale
però, così operando, avrebbe impedito la veduta come in precedenza esercitata;
sostennero altresì che la nuova edificazione non avrebbe rispettato neppure le
norme tecniche al Prg ed il regolamento edilizio comunale che prevedevano il
distacco pari all’altezza del fronte del fabbricato più alto e comunque pari
non meno di 10 metri dalle pareti finestrate; lamentarono infine che l’edificio
distasse solo tre centimetri dal confine e non fosse collocato in aderenza al
proprio, violando quindi il disposto dell’art. 873 cod. civ.. Conclusero
pertanto per la riduzione a norma dell’edificato. La società convenuta
contrastò la domanda eccependo altresì di non esser più proprietaria
dell’edificio per averlo venduto – si accerterà, con atto di pochi giorni
anteriore alla notifica della citazione ma trascritto dopo – a tali L.C. ed
E.F.; il contraddittorio venne quindi esteso a costoro nonché al frontistante
condominio … per le parti comuni dello stabile; i coniugi L.C. ed E.F. si
opposero alla domanda e, in via riconvenzionale, chiesero l’arretramento del
terrazzo delle parti attrici, in quanto realizzato in violazione delle distanze
legali; l’ente di gestione non si costituì.
2. L’adito Tribunale , con sentenza n. 960/2004, respinse le domande di
entrambe le parti; la Corte di Appello di Trieste, pronunciando nella
contumacia del condominio, rigettò l’appello dei M.B.-M.O.: a) ritenendo non
applicabile la tutela apprestata dall’art. 907 cod. civ. in materia di vedute,
non potendo gli appellanti far valere all’uopo un titolo loro attributivo del
diritto di mantenere la loro veduta a distanza inferiore a quella legale; b)
giudicando che la parete finestrata posta al 2° piano degli attori prospettava
sul fronte strada e con l’edificazione del condominio … non sarebbero state realizzate
pareti antistanti la parte finestrata di detta parete, a nulla rilevando che le
due edificazioni fossero poste ad angolo acuto l’una rispetto all’altra.
3. Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso i M.B.-M.O.,
facendo valere quattro motivi di annullamento, illustrati da successiva
memoria; hanno risposto con controricorso i L.C.-E.F. e la Impresa B.; il
condominio non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I. Con il primo ed il secondo motivo vengono denunciate la violazione dell’art.
9 del decreto ministeriale 1444/1968, con riferimento agli artt. 7 delle norme
tecniche integrative introdotte con la variante n. 3 al Piano di Recupero n. 1
di Rorai Grante (PN) e 1.11.2 del Regolamento del Comune di Pordenone laddove
la Corte del merito ritenne – adeguando sia criticamente alle conclusioni alle
quali era pervenuto il consulente tecnico di ufficio – che la prescrizione
contenuta nella disciplina urbanistica di una distanza minima tra pareti
finestrate non fosse applicabile laddove le pareti non fossero su fronti
paralleli e nella porzione in cui entrambe non recassero delle finestre;
contrastando tale assunto sostengono le parti ricorrenti l’applicabilità della
prescrizione anche quando gli edifici contrapposti siano solo in parte finestrati,
così da fronteggiarsi in posizione angolare la parete di nuova costruzione e la
proiezione verticale della facciata dell’altra costruzione, posta ad un piano
più in basso; ne deriverebbe l’erroneità del calcolo delle distanze operato dal
consulente di ufficio che le misurò non dallo spigolo esterno del muro (ove
entrambe le costruzioni erano tangenti) bensì dallo stipite della porta
finestra di essi ricorrenti, così mostrando di ritenere – erroneamente – che il
rispetto delle distanze fosse imposto solo nel caso in cui si fossero opposte
pareti entrambe finestrate e solo nel tratto in cui esse si fossero
fronteggiate, essendo al contrario esatto che la disciplina regolamentare ed
amministrativa doveva trovare applicazione anche laddove le finestre fossero
poste su contrapposte pareti “cieche”, dovendosi calcolare l’intera estensione
della parete finestrata e non già la sola porzione ove si aprissero le finestre
ed a prescindere dalla rispettiva posizione (ad angolo retto o, come nel caso
di specie, acuto).
I.a. I motivi sono fondati.
Invero, le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a regolare una questione
interpretativa involgente l’applicabilità di alcuni regolamenti locali, laddove
derogativi della portata precettiva dell’art. 9, comma II, del decreto
ministeriale 1444/1968, con sentenza n. 14953/2011 hanno statuito che “il
decreto ministeriale non consente l’adozione di regole di tal genere da parte
dei Comuni, in quanto ne risulterebbe una disciplina contrastante con la
lettera e lo scopo della norma di cui dovrebbe costituire l’attuazione. Questa
esige in maniera assoluta l’osservanza di un distacco di almeno 10 metri per il
caso di pareti finestrate, senza alcuna distinzione tra i settori di esse,
secondo che siano o non dotati di finestre: distinzione estranea al testo della
norma, che si riferisce complessivamente alle pareti e non alle finestre. È
destinata infatti a disciplinare le distanze tra le costruzioni e non tra
queste e le vedute, in modo che sia assicurato un sufficiente spazio libero,
che risulterebbe inadeguato se comprendesse soltanto quello direttamente
antistante alle finestre in direzione ortogonale, con esclusione di quello
laterale: ne conseguirebbe la facoltà per i Comuni di permettere edificazioni
incongrue, con profili orizzontali dentati a rientranze e sporgenze, in
corrispondenza rispettivamente dei tratti finestrati e di quelli ciechi delle
facciate”.
II. Con il terzo motivo, oltre alle violazioni di legge sopra riportate, si
fa valere un vizio di motivazione, ritenuta omessa o insufficiente, laddove la
Corte del merito non ha ritenuto soggetto alla disciplina delle distanze tra
pareti finestrate anche il poggiolo costruito nella porzione ad ovest; con il
quarto motivo, logicamente connesso a quello che precede, si denuncia la
violazione del giudicato interno in cui sarebbe incorsa la Corte triestina nel
riprendere in esame la domanda riconvenzionale dei chiamati in causa L.C.-E.F.,
già respinta dal Tribunale, rispetto alla quale non era stato proposto da
questi ultimi gravame incidentale e, di conseguenza, nel sancire che, rispetto
al poggiolo, i coniugi M.B.-M.O. non avrebbero potuto chiedere il rispetto
delle distanze.
III. Il primo mezzo è fondato atteso che assume carattere preminente, nel
calcolo delle distanze, la parete munita di finestre, nel suo sviluppo ideale
verticale od orizzontale rispetto alla frontistante facciata e non già la
reciproca posizione delle finestre in entrambe le superfici aperte, non senza
considerare che il poggiolo, munito di idoneo parapetto, assicura l’esercizio
di veduta ancor maggiore della finestra con limitata possibilità di sporto.
III.a. Il secondo mezzo non è fondato perché la statuizione di rigetto
della richiesta di demolizione del balcone, così come richiesta dai L.C.-E.F.,
è rimasta ferma, la posizione però del manufatto è stata nuovamente valutata ma
a parte actoris, al fine di
verificare se anch’esso avesse violato il regime delle distanze per effetto di
una ritenuta acquisita servitù di veduta, in epoca anteriore alla sopraelevazione
dell’edificio della società contro ricorrente.
III.b. L’accoglimento dei primi tre motivi non consente peraltro una
decisione di merito perché dovrà verificarsi, in sede di rinvio, in quali
limiti potrà esser disposto l’arretramento. Va commesso al giudice del rinvio,
che si individua nella Corte di appello di Trieste, in diversa composizione,
anche la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il 1°, il 2° ed il 3° motivo; rigetta il 4°; cassa in
relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Trieste, in
diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di
legittimità.