Per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicché, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117, primo comma, cod. civ.; viceversa, allorché il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento.
Sono questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione con la sentenza 16817 del 9 agosto 2016, della quale riportiamo i punti salienti.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 9.8.2016, n. 16817
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RITENUTO IN FATTO
1. N.M. (e altri) convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Velletri M.P. (e altri), chiedendo che venisse accertato chei convenuti si erano illegittimamente ed abusivamente appropriati di parti comuni dello stabile di via …, e precisamente dei sottotetti sovrastanti gli appartamenti di loro proprietà, trasformandoli senza nessuna autorizzazione assembleare in locali chiusi e senza consegnare le relative chiavi e quindi impedendo di accedervi. Domandavano pertanto che il Tribunale, accertata l’illegittimità dell’operato dei convenuti, ordinasse il rilascio degli spazi occupati e la consegna delle chiavi.
(omissis)
Con sentenza in data 27 aprile 2004, il Tribunale di Velletri dichiarava la natura condominiale dei sottotetti sovrastanti gli appartamenti dei convenuti e dichiarava illegittime le opere di trasformazione eseguite dai convenuti, condannandoli a consegnare agli altri condomini le chiavi di accesso ai sottotetti (omissis).
2. La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 24 giugno 2011, in riforma della pronuncia del Tribunale, ha rigettato la domanda proposta da N.M. (e altri).
2.1. Secondo la Corte territoriale, i sottotetti per cui è causa costituiscono, per le loro caratteristiche strutturali e funzionali, pertinenze degli appartamenti siti al secondo piano, di rispettiva proprietà di ciascuno degli appellanti.
(omissis)
3. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello N.M. e L.R. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 26 gennaio 2012, sulla base di due motivi.
(omissis)
CONSIDERATO IN DIRITTO
(omissis)
2. Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 cod. civ. nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e relativa omissione, insufficienza e contraddittorietà) i ricorrenti sostengono che, in difetto di titolo giustificativo, la Corte d’appello avrebbe dovuto desumere e determinare la riconducibilità dei sottotetti fra le parti comuni dell’edificio sulla base della presunzione di comunione di cui all’art. 1117 cod. civ., applicabile nel caso in cui essi risultino, in concreto, oggettivamente destinati (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un interesse condominiale. La Corte d’appello avrebbe omesso di considerare il mancato superamento, da parte dei proprietari degli appartamenti al secondo piano, della presunzione di cui all’art. 1117 cod. civ. Negli atti di acquisto della proprietà degli intimati, stipulati con l’originario ed unico proprietario, non vi sarebbe alcuna specifica ed espressa clausola riguardante i sottotetti per cui è causa, a conferma che gli stessi hanno sempre conservato la natura di spazi comuni. Ad avviso dei ricorrenti, immotivatamente la Corte distrettuale avrebbe desunto la prova della proprietà esclusiva dei sottotetti dal regolamento adottato dall’assemblea condominiale del 5 marzo 1987, senza considerare l’art. 2, lettera c), del regolamento condominiale registrato il 15 giugno 1988, il quale stabilisce espressamente che i sottotetti sono di proprietà condominiale.
La Corte d’appello non avrebbe potuto desumere alcun riconoscimento implicito della proprietà dei sottotetti in capo ai proprietari degli appartamenti del secondo piano dalla mera circostanza dell’aumento delle quote millesimali che non poteva essere conseguente ad opere di consolidazione, trasformazione e ad accorpamenti dell’area dei sottotetti non realizzati all’epoca dell’assemblea del 5 marzo 1987. Né, ad avviso dei ricorrenti, la Corte d’appello sarebbe potuta pervenire ad un tale convincimento se avesse considerato che nei locali sottotetto, ritenuti erroneamente pertinenze, sono sempre state presenti sin dall’origine a tutt’oggi tubazioni di uso comune a tutti gli appartamenti facenti parte dello stabile, come accertato dal c.t.u., tubazioni che partono dal locale idrico, attraversano il solaio e le intercapedini e raggiungono tutte le unità immobiliari dell’edificio, e sono a vista, adesso come allora, per poter essere ispezionate.
Con il secondo mezzo (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, anche in riferimento all’omessa o errata valutazione delle prove documentali e testimoniali) ci si duole che la Corte territoriale non abbia esaminato l’elaborato peritale del c.t.u., dal quale emergerebbero circostanze oggettive (la presenza di serbatoi di accumulo dell’acqua a servizio di tutti gli appartamenti che fanno parte dell’immobile nonché di tubazioni di uso comune) deponenti per una destinazione dei sottotetti in questione a servizio comune. (omissis)
3. I due motivi – da esaminare congiuntamente, stante la loro stretta connessione – sono fondati.
Per costante giurisprudenza di questa Corte (v., da ultimo, Sez. II, 30 marzo 2016, n. 6143), in tema di condominio, per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicché, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117, primo comma, cod. civ.; viceversa, allorché il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento.
Ora – in mancanza di un titolo coevo al sorgere del condominio che attribuisca ai proprietari del secondo piano la proprietà esclusiva del sottotetto – la Corte d’appello ha dato rilievo, per dichiarare la natura condominiale del sottotetto, alla situazione di fatto: rilevando che, secondo la relazione del c.t.u. e le dichiarazioni dell’amministratore, in origine il sottotetto “non aveva un solaio praticabile ma solo una camera a canna non praticabile che formava un soffitto piano per gli appartamenti siti all’ultimo piano dell’edificio”, e giungendo quindi alla conclusione che “i sottotetti per cui è causa costituiscono, per le loro caratteristiche strutturali e funzionali, pertinenze degli appartamenti siti al secondo piano, di rispettiva proprietà di ciascuno degli appellanti”.
Sennonché, questa conclusione riflette una insufficiente considerazione delle risultanze di causa.
Dalla consulenza tecnica d’ufficio risulta infatti che il sottotetto, anche prima delle trasformazioni operate dai convenuti, aveva una parte centrale, in cui sono posizionati i cassoni di deposito dell’acqua a servizio dei vari appartamenti, dotata di un solaio praticabile; risulta ancora la presenza di tubazioni di adduzione dell’acqua ai vari appartamenti facenti parte dello stabile condominiale.
Si tratta di circostanze di fatto decisive che dimostrano come il locale sottotetto non assolvesse alla esclusiva funzione di isolare e proteggere gli appartamenti sottostanti dal caldo, dal freddo e dall’umidità, ma avesse in concreto una destinazione a servizio comune, attesa la presenza, in esso, di impianti condominiali.
(omissis)
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.