Una diatriba condominiale sul consumo di energia elettrica sfocia in un pesante scambio di accuse aventi ad oggetto la presenza di una prostituta in un appartamento dello stabile. Singolare la vicenda sulla quale è stata chiamata ad esprimersi la Cassazione.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent.
n. 15144/2016
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15 gennaio 2015 n Tribunale di Chieti, sezione distaccata di Ortona, in funzione di Giudice d’appello, ha confermato la sentenza di primo grado con cui C.A. è stato assolto dall’imputazione del reato di cui all’art. 594 c.p. per aver proferito all’indirizzo di D.B.F. la frase “tu devi pagare la stessa quota della luce perché hai affittato l’appartamento all’attico ad una signora che faceva la prostituta e anche tu ci sei andato a letto con lei”.
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione la parte civile affidandolo a due motivi.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 594 c.p., 192 e 530 c.p.p.. nonché la mancanza /insufficienza/illogicità della motivazione.
Lamenta il ricorrente che il capo d’imputazione contiene espressioni che racchiudono entrambe le prospettazioni di lesione dell’onore e del reato di cui all’art. 594 c.p. in quanto anche la frase “hai affittato l’appartamento ad una persona che fa la prostituta” non può non contenere un’espressione potenzialmente lesiva del decoro di una persona.
Ha dunque errato il giudice di secondo grado a limitare la tesi della lesione della dignità circoscrivendola esclusivamente alla sola ingiusta accusa rivolta alla persona offesa di avere avuto un incontro sessuale clandestino con una prostituta, escludendo la contestuale accusa di aver additato la persona offesa come soggetto che affittava ad una prostituta (e dunque come soggetto favorente virtualmente la prostituzione).
Né il giudice può a sua discrezione escludere a priori una ipotesi accusatoria reputando, senza alcuna giustificazione o motivazione logica, che la parte lesa e la pubblica accusa avessero inteso circoscrivere l’offesa all’accusa di essere andato a letto con una prostituta.
Dunque, il Giudice di secondo grado non avrebbe motivato o avrebbe comunque reso una motivazione illogica per non aver valutato la ulteriore prospettiva accusatoria ed aver escluso aprioristicamente la lesione dell’onore nell’uso dell’espressione “hai affittato l’appartamento ad una prostituta”.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 594 c.p., 192 e 530 c.p.p. nonché la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Secondo il ricorrente erra il Tribunale allorché afferma che su quattro testi due hanno escluso il passaggio relativo all’incontro sessuale con la prostituta ed uno non lo ha ricordato.
Non è vero che il teste V., cui si riferisce il Tribunale, non avrebbe ricordato l’espressione proferita dall’imputato, evincendosi invece ictu oculi dalla trascrizione del verbale dell’udienza in cui è stato esaminato tale teste che lo stesso ha sentito l’espressione “forse anche lui (il D.B.F.) c’è andato a letto con la puttana”.
Va dunque smentita e censurata l’argomentazione del Tribunale, essendo vero l’esatto contrario.
Il ricorrente ha altresì censurato sotto il profilo della contraddittorietà ed illogicità il ragionamento nel quale ha ritenuto “complessivamente veridica” la sua deposizione, sebbene influenzata da una probabile distorsione emotiva legata alla concitata discussione riguardo alla percezione soggettiva di una consumazione sessuale.
Tale ragionamento apparirebbe arzigogolato ed incomprensibile e smentito dalle chiare ed esaustive parole riferite dalla persona offesa nel corso della sua audizione.
Infine, il ricorrente lamenta che il Tribunale, nel pronunciare l’assoluzione, abbia dato più credito ai testimoni della difesa, legati da uno strettissimo vincolo di sangue con l’imputato, piuttosto che al teste dell’accusa, del tutto neutrale ed imparziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Il ricorrente censura il giudice di secondo grado per aver circoscritto la rilevanza penale dell’espressione pronunciata dall’imputato alla parte relativa al presunto incontro sessuale con la prostituta, mentre non avrebbe colto che integra già un offesa all’onore aver additato la persona offesa come colei che affittava ad una prostituta e dunque come soggetto favorente virtualmente la prostituzione.
Questo Collegio non condivide l’impostazione giuridica del ricorrente.
È emerso inequivocabilmente dalla ricostruzione del giudice di secondo grado che tale espressione fu pronunciata nell’ambito di una conversazione tra condòmini, nel corso della quale era sorta una discussione sui criteri di ripartizione delle spese condominiali, e, in tale contesto, l’imputato fece riferimento alla prostituta, cui la parte civile aveva affittato l’appartamento, in quanto dall’attività di quest’ultima derivava un maggior consumo energetico dello stabile. Dunque, il riferimento fatto dall’imputato all’affitto alla “prostituta” era funzionale alla tesi sostenuta dallo stesso, secondo cui la ripartizione delle spese di energia elettrica non poteva avvenire in parti uguali in considerazione del maggior consumo registrato dall’appartamento affittato dal D.B.F..
Analizzato il particolare contesto in cui l’imputato ha pronunciato tale espressione – la seconda parte della stessa sarà esaminata nel secondo motivo – non vi è dubbio che l’espressione medesima non avesse affatto una connotazione ingiuriosa, né peraltro rientra tra quelle da considerarsi oggettivamente offensive (per l’intrinseca carica di disprezzo e dileggio che di per sé manifestano) e, quindi, inaccettabili in qualsiasi contesto pronunciate, tranne che siano riconoscibilmente utilizzate “ioci causa” (Sez. 5, n. 19070 del 27/03/2015).
L’allusione che, secondo il ricorrente, l’imputato avrebbe voluto fare alla persona offesa come soggetto favorente virtualmente la prostituzione è frutto di una mera illazione che non trova alcun riscontro negli atti processuali.
(omissis)
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo stabilire nella misura di 1.000 Euro.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.