Le riprese effettuate dalle videocamere condominiali possono essere utilizzate per “incastrare”l’autore di diverse rapine ai danni dei condòmini oppure questi può richiamare il principio della privacy? È la questione sulla quale si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza 25307 dello scorso 17 giugno, di cui riportiamo un estratto.
—————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. 17.6.2016,
n. 25307
—————-
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza del 03/04/2015 la Corte di Appello di Napoli confermava la decisione del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli del 30/10/2014 con la quale a seguito di procedimento con rito abbreviato M.S. era stato condannato alla pena di sei anni, otto mesi di reclusione ed euro 2.400 di multa in quanto ritenuto responsabile di cinque rapine aggravate commesse in (omissis) in danno di donne anziane, all’interno dei rispettivi stabili, con la complicità di una figlia minorenne (reati unificati dal vincolo della continuazione).
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M., tramite il difensore di fiducia sulla base di quattro motivi:
– violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per inosservanza di norme processuali a pena di nullità in relazione alle immagini estrapolate dalle riprese del sistema di videosorveglianza, utilizzate come prova dai giudici di merito, nonostante le riprese riguardassero luoghi privati, tutelati dalla normativa sulla privacy;
(omissis)
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce che il giudice di merito ha fondato in modo esclusivo la sentenza di condanna sulle immagini estrapolate da due sistemi di videosorveglianza installati all’interno dei condomini, ritenendo tali prove inutilizzabili perché acquisite in luoghi di privata dimora, tutelati da una legittima aspettativa di privacy.
Il rilievo – compiutamente esaminato dalla corte territoriale – risulta per un verso in contrasto con i principi di diritto in materia e per altro addirittura irrilevante ai fini della decisione.
2.1. La giurisprudenza di legittimità, inquadrandosi nei vari interventi relativi all’art. 14 Cost. nonché all’art. 8 CEDU della Corte Costituzionale (sentenze 135/2002, 149/2008 e 320/2009), ha operato una netta distinzione tra le videoriprese di atti comunicativi, riconducibili alla disciplina delle intercettazioni, e quelle di atti non comunicativi (mere condotte, che non hanno nessun valore esprimente; sono comunque comunicative, assoggettando così la relative videoriprese alla disciplina delle intercettazioni, tutte quelle condotte che hanno un significato fungibile con la comunicazione verbale/scritta, come un gesto di assentimento o di rifiuto, espressioni fisionomiche ecc), che non rientrano nella qualifica di intercettazioni e, se effettuate in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico, sono utilizzabili come prove atipiche ex art. 189 c.p.p..
Qualora invece le videoriprese di atti non comunicativi siano effettuate in luoghi riconducibili al domicilio, e quindi sottoposti alla tutela di cui agli art. 14 Cost. e art. 8 CEDU, la tutela in tal senso di chi è ivi domiciliato ne impedisce l’utilizzazione e, prima ancora, anche l’acquisizione, escludendo l’applicabilità dell’art. 189 c.p.p. in quanto sono qualificabili prove illecite (S.U. 28 marzo 2006 n. 26797). Si tratta, peraltro, della tutela di un diritto disponibile, per cui, qualora le riprese siano effettuate con il consenso del titolare al diritto di tutela del domicilio, si esce da ogni profilo di illiceità, cosicché la prova, come atipica, risulta utilizzabile senza necessità di autorizzazione dell’autorità giudiziaria (in tal senso Cass. sez. 3, 7 luglio 2010 n. 37197, nonché Cass. sez. 2, 13 dicembre 2007-10 gennaio 2008 n. 1127 e, da ultimo, in motivazione, Cass. n.25177 del 21/05/2014).
Nel caso in esame, trattasi di videoriprese di un atto non comunicativo – non esprimente cioè alcuna comunicazione, ritraendo solo la condotta del soggetto introdottosi nello stabile condominiale – sì che destinatari della tutela della privacy devono considerarsi esclusivamente i condòmini ossia i soggetti che domiciliano in quegli stabili; non potrà certamente lamentarsi della violazione il ricorrente, che non è titolare di alcun diritto alla riservatezza rispetto ai luoghi di privata dimora altrui.
Non sussistono pertanto profili di illiceità, con conseguente piena utilizzabilità della prova.
(omissis)
5. Per le suesposte ragioni il ricorso va dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione d’inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 1.500 a titolo di sanzione pecuniaria.
(omissis)