Un condominio installa il proprio videocitofono personale su una parete condominiale. Un altro condominio lo rimuove sentendosi deprivato di un suo diritto. Chi ha ragione? La singolare e controversa vicenda sulla quale si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza 6643 dell’1 aprile 2015, di cui riportiamo un estratto.
————————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sentenza 1.4.2015, n. 6643
————————-
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 10.8.2005 il tribunale di Perugia respingeva l’azione di spoglio esercitata da P.F. nei confronti di A.C. sul presupposto che il convenuto avesse commesso spoglio disinstallando da una nicchia del muro condominiale il proprio impianto citofonico, perché le testimonianze assunte non avevano provato il possesso in capo alla ricorrente.
La Corte di appello di Perugia, con sentenza 5.5.2008, in totale riforma, accoglieva l’azione condannando C. al ripristino dello stato precedente ed alle spese rilevando che la prima decisione era sorretta da motivazione apparente. Riferito che l’appellante aveva lamentato che l’impianto era stato installato su parete condominiale comune ai condòmini e nel compossesso di ciascuno, era pacifico che C. avesse rimosso dalla nicchia l’impianto videocitofonico fatto installare dalla F., qualche ora dopo, distaccandolo dai fili che lo collegavano all’appartamento dell’attrice e la tesi del C. che la nicchia era stata fatta scavare da lui stesso per porvi un proprio impianto per cui lo spoglio era stato commesso dalla F. non era accoglibile.
La nicchia non era utilizzata da nessuno e l’installazione dell’impianto da parte della F. per il solo fatto di essere compiuta era affermazione di possesso della ricorrente e l’ablazione dell’impianto da parte del C. la privava del possesso senza che ricorressero gli estremi della difesa legittima da precedente spoglio. Ricorre C. con due motivi, resiste controparte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo si denunziano violazione di legge e vizi di motivazione sul preteso possesso dell’attrice con tre quesiti sulla possibilità di reintegra in relazione ad un diritto di servitù mediante impossessamento per poche ore (omissis).
Col secondo si lamentano vizi di motivazione sull’inesistenza del possesso del convenuto con sette quesiti.
Le censure, per la loro evidente connessione, possono esaminarsi congiuntamente. Questa Corte suprema non ignora che, per la configurabilità del possesso (“ad usucapionem”), è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena”(ex plurimis Cass. 9 agosto 2001 n.11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).
Né è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Cass. 1 agosto 1980 n. 4903, Cass. 5 ottobre 1978 n. 4454).
È principio pacifico che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi ed alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 14 febbraio 2003).
Occorre distinguere tra possesso utile ai fini della usucapione e situazione di fatto tutelabile in sede di azione di reintegrazione, indipendentemente dalla prova che spetti un diritto, da parte di chi è privato violentemente od occultamente della disponibilità del bene.
La relativa legittimazione attiva spetta non solo al possessore uti dominus ma anche al detentore nei confronti dello spoliator che sia titolare del diritto e tenti di difendersi opponendo che “feci sed iure feci”.
La prova dell’attualità del possesso è un presupposto per l’accoglimento della domanda essendo necessario provare una situazione di fatto, protrattasi per un periodo di tempo apprezzabile ed avente i caratteri esteriori di un diritto reale (Cass. 1 agosto 2007 n. 16974, 7 ottobre 1991 n. 10470).
Nella specie, la sentenza ha osservato che il C. aveva rimosso dalla nicchia l’impianto videocitofonico fatto installare qualche ora prima dalla F. ed ha escluso un possesso esclusivo del C. ed una legittima reazione ad uno spoglio subito dal condomino su parte comune in quanto i condòmini esercitano un compossesso in forza del quale ciascuno utilizza legittimamente le parti comuni purché non escluda l’eguale possesso degli altri, concludendo che l’installazione dell’impianto per il solo fatto di essere compiuta era affermazione di possesso e che l’ablazione non costituiva difesa legittima.
La nicchia, pur precedentemente mai utilizzata, era nel compossesso di tutti i condòmini per cui, a seguito dell’installazione dell’impianto, l’ablazione non costituiva reazione legittima. Va osservato, tuttavia, che l’indagine è carente sull’esistenza di una canalina del C., che poteva avere un effetto prenotativo, e sulla circostanza se la nicchia fosse sufficiente per la collocazione di uno o due impianti.
L’essenzialità di tale accertamento è decisivo in relazione alla giurisprudenza che legittima una reazione nell’immediatezza (Cass. 9.6.2009 n. 13270, Cass. 1.10.1999 n. 10888, Cass.24.10.1984 n. 5407) ed alla circostanza che il compossessore non può escludere il possesso di altro avente titolo.
In definitiva il ricorso va accolto per un riesame sul punto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Perugia, in altra composizione.