Bene le compravendite, meno i prezzi. Ad ogni buon conto, in questo inizio di 2018 il mattone sta consolidando la ripresa avviata già due anni fa. Almeno, questa è la percezione degli agenti immobiliari interpellati da Nomisma nell’ambito dell’Osservatorio presentato nei giorni scorsi a Milano, in Assolombarda.
A inizio 2018 l’indice medio di performance del segmento abitativo – risultante dall’andamento dei 13 mercati intermedi analizzati – ha continuato a recuperare posizioni portandosi su valori prossimi al punto di “equilibrio ciclico” (equivalente alla performance media, nel periodo di osservazione dal 2002 ad oggi, delle cinque componenti considerate: variazione semestrale dei prezzi; sconto; tempi di vendita; dinamica della domanda rispetto all’offerta; dinamica delle compravendite). Ciò può essere assunto, secondo Nomisma, come punto di svolta da una condizione recessiva ad una espansiva. Rispetto al segmento residenziale, si sono mossi invece in controtendenza gli altri comparti.
Quanto al contesto territoriale, sia i mercati metropolitani sia i mercati secondari presentano tratti comuni: dopo la fase di crescita, sono stati investiti prima da un calo delle compravendite, cui ha fatto seguito a distanza di 2-3 anni il deprezzamento; per poi assistere al recupero di quote di mercato erose dalla crisi, che tarda però a riflettersi sui prezzi. A consuntivo del 2017, le compravendite in Italia si attestano poco al di sotto delle 543mila con riferimento alle abitazioni e oltre le 55mila per le attività produttive (10.500 uffici, 32.800 negozi e 12.000 magazzini e capannoni).
Sul fronte delle locazioni – per l’Istituto di ricerche bolognese – si rileva il crescente ottimismo degli agenti interpellati sospinto da un ritorno della domanda che non risulta circoscritto alla residenza, ma che si sta estendendo anche alla componente di immobili da locare per le attività produttive.
Nei 13 mercati intermedi – a differenza di quelli metropolitani – nell’ultimo anno valori immobiliari, oltre a ridursi hanno fatto registrare un rallentamento del trend di recupero, sia dei prezzi di compravendita (in media -1,2% la variazione 2017-2018 per il nuovo e -2% quella dell’usato) sia dei canoni di locazione. I tassi di variazione annui risultano allineati a quelli degli ultimi due anni riguardo ad abitazioni e uffici, mentre si sono mossi in controtendenza nel segmento degli immobili commerciali, con un’accentuazione negativa rispetto all’anno precedente.
L’unico mercato ad aver fatto registrare nell’ultimo anno variazioni nulle o prossime allo “zero” in tutti i segmenti monitorati è quello di Salerno; se si valutano le variazioni annuali dei canoni, ciò che emerge è l’ingresso nella fase inflattiva, limitatamente al segmento residenziale, di alcuni mercati intermedi quali Bergamo, Brescia, Modena, Parma e Verona. Nei restanti segmenti permane una dinamica deflattiva.
Il ritorno della domanda e la stabilizzazione dell’offerta hanno permesso un lento ritorno a una condizione di liquidità, che ha tra l’altro determinato la riduzione dei tempi medi di vendita (fenomeno iniziato debolmente nel 2014 per le abitazioni e nel 2015 per negozi e uffici). I mercati intermedi presentano un generalizzato ritardo del processo di recupero delle posizioni pre- crisi rispetto a quelli maggiori, con un’accentuazione per gli immobili per l’impresa.
Nomisma riscontra anche una riduzione dello sconto praticato in fase di trattativa – osservabile dal 2014 – seppure il divario si attesti ancora su valori piuttosto elevati, in media superiori di 4-6 punti percentuali rispetto ai livelli pre-crisi nei mercati intermedi e di 4 punti percentuali in quelli principali.
Per Nomisma “al dinamismo delle transazioni non ha fatto riscontro un’analoga tendenza dei valori che hanno, invece, continuato a flettere anche nei primi mesi del 2018. Lo smaltimento delle tossine accumulate rappresenta un processo molto più lungo e complesso di quanto accaduto in passato, appesantito dall’inefficienza di un mercato in cui molti operatori hanno preferito salvaguardare teoriche ricchezze e coperture piuttosto che fare prontamente i conti con la realtà”. È da questa situazione che emerge l’ulteriore arretramento dei valori registrato sia nelle aree urbane maggiori a fine 2017 sia in quelle intermedie agli inizi del 2018.
La peggiore situazione si riscontra sul versante delle unità immobiliari di impresa, dove si ha un’intensità di domanda non paragonabile a quella delle abitazioni, oltre che una minore propensione del sistema bancario ad accettare scommesse sulle capacità di rimborso delle aziende. Di diverso segno il mercato corporate, dove la consistente presenza di investitori stranieri consente di sopperire all’inadeguatezza della componente domestica. Nel corso del 2017 si è infatti registrata la cifra di 7,6 miliardi di euro di investimenti esteri in Italia.
Le famiglie consumatrici italiane sono proprietarie di circa l’81% del patrimonio residenziale utilizzato (come prima o seconda casa) per un controvalore complessivo di 4.632 miliardi di euro. Il deprezzamento che ha colpito l’abitazione durante la crisi ha comportato una perdita di valore della ricchezza reale in abitazioni del 7% negli ultimi 5 anni (variazione desunta dalle statistiche Istat confrontata con quelle Nomisma, da cui risulterebbe un calo di valore del patrimonio del 16%).
Per l’istituto bolognese, “la perdita di potere contrattuale delle famiglie e le diseguaglianze tra gruppi sociali si riflettono in un’accentuata segmentazione della domanda abitativa. Non è un caso infatti che la precarietà delle prospettive di rendimento associata alla gravosità del carico fiscale e alla erosione della ricchezza immobiliare abbiano negli ultimi anni indotto i risparmiatori a privilegiare altre forme di impiego”.