[A cura di: Achille Colombo Clerici – presidente Assoedilizia – Articolo per Osservatorio Smart City dell’Università Bocconi di Milano] Vediamo, per quanto possibile, di rassegnare un quadro valutativo prospettico dell’andamento del settore immobiliare, quale potrà presentarsi nel dopo emergenza-pandemia in uno scenario che si preannuncia di profonda crisi economica generale e di rallentamento e parcellizzazione delle relazioni e del dinamismo sociali.
I segnali premonitori ci sono già tutti: drastica riduzione del numero delle compravendite, crisi diffusa delle attività economiche cui gli immobili sono funzionali, ripensamenti e recessi sui programmi di investimento immobiliari in corso. Ma, al di là della fase due, della fase tre e via dicendo, nelle quali domina e dominerà la logica del sussidio e delle misure tendenti ad assicurare la sopravvivenza dell’importante tessuto economico rappresentato dall’universo mondo immobiliare, come si prospetta nel new normal il futuro non immediato del comparto?
Molto dipenderà, a mio giudizio, da come riuscirà a riprendersi l’economia turistica del Paese. È il turismo, infatti, soprattutto quello internazionale, con tutta la sua filiera e tutto l’indotto, unitamente alla cultura, a fare l’immagine dell’Italia, ormai non più colosso industriale; ed a crearne l’appeal ai fini anche degli investimenti produttivi e commerciali non solo nazionali, ma esteri. È quindi in gioco la capacità dello Stato di approntare misure di sostegno per queste attività economiche primarie.
Fatte le debite premesse, in tema di nuovi investimenti o di prosecuzione di quelli già varati, distinguerei fra:
La prima, che serve prioritariamente a creare plusvalenze e titoli finanziari, seguirà il suo passo, traguardando obiettivi a tempi lunghi, mentre l’edilizia legata all’economia, che serve a produrre immediatamente reddito, potrà subire una contrazione, soprattutto se volta alla realizzazione di strutture destinate all’uso collettivo da parte di masse di persone. Addirittura parecchie strutture di questo genere oggi esistenti potrebbero dover essere riconvertite: a dettarne tempi e modi, le pressanti istanze dello smart working, del co-working e del co-housing, del processo di digitalizzazione della P.A. o di interrelazione umana attraverso la forma phygital.
Molto probabilmente si avrà un rilancio del commercio retail legato alla piccola distribuzione. In questo campo si stanno peraltro verificando preoccupanti casi di sostituzione del tradizionale solido tessuto commerciale, con l’avvento di nuovi operatori (dalla posizione precaria), favoriti dalla combinazione sussidi pubblici/regime di start up.
Si potrà anche riscontrare una accelerazione negli investimenti in strutture strategiche, legate cioè allo sviluppo di particolari aree urbane con effetto di trascinamento della circostante economia immobiliare.
Fattore certamente di incertezza è costituito dalla piega che prenderà la fiscalità, in generale e non solo quella immobiliare.
Una ulteriore patrimoniale immobiliare o mobiliare, volta a colpire persone fisiche o società, è del tutto irragionevole e improponibile, perché avrebbe devastanti effetti recessivi sull’economia.
La stessa tassazione ordinaria dei redditi immobiliari, iniqua e sperequativa, ha prodotto una profonda disaffezione dei risparmiatori verso gli investimenti in locazione, abitativa o per usi diversi. La pandemia inoltre sta fortemente accentuando le ragioni di tale disaffezione.
In mancanza di adeguati investimenti pubblici in conto capitale per finanziare nuove abitazioni popolari (pensiamo al recovery fund) si dovrà fare, dunque, un sempre maggior ricorso all’housing sociale che potrà diventare un enorme peso a carico dei nuovi interventi edilizi, al pari dei crescenti costi per le bonifiche e per gli oneri di urbanizzazione.
Nelle città, si pone peraltro l’esigenza di evitare le ghettizzazioni zonali, con gli inevitabili squilibri tra immobili “griffati”, ubicati in zone prestigiose o dalla grande funzionalità urbana, ed immobili che godono di minor plusvalore posizionale: per cui è urgente pensare al policentrismo urbano.
Credo si possa ritenere che nelle località turistiche torneranno in grande auge le seconde case per villeggiatura, cui potrebbe fare pendant una forte ripresa della nautica da diporto.
Per concludere, un breve accenno a qualche profilo edilizio-urbanistico nella progettazione di nuovi building. Il futuro, come sosteneva anni addietro lo scienziato Umberto Veronesi, ci insegnerà a convivere con il rischio di un virus (speriamo non sia il coronavirus) di tale grado di letalità da poter insidiare la sopravvivenza stessa dell’umanità. Sarà il vero nemico dell’uomo e andrà combattuto con eserciti di medici e con adeguate strutture ed attrezzature pronti alla bisogna.
Volendo essere previdenti dovremmo pensare a nuovi modelli architettonici: andrebbero cioè incentivati con misure premiali, nelle nuove grandi costruzioni, standard edilizi, facoltativi e non computabili a fini volumetrici, per la realizzazione di spazi attrezzati a ricoveri ospedalieri, pronti all’occorrenza, gestiti, ai fini delle profilassi, delle diagnosi e delle cure, anche in telemedicina, e per la ricettività di ammalati non gravi o semplicemente di positivi al tampone, pur asintomatici, che debbono tuttavia osservare la quarantena e non possono trascorrerla in famiglia, sicché oggi finiscono in ospedale.
Infine, se vogliamo azzardare una prospettiva sull’andamento dei valori immobiliari in un futuro new normal, dobbiamo considerare che l’enorme immissione di nuova liquidità nel sistema globale dell’economia (non è avventato stimare che possa aggirarsi attorno ai 10mila miliardi di dollari), una volta che i sistemi economici abbiano riacquistato il normale equilibrio e gli immobili siano tornati alla normale funzionalità e sia tornata la fiducia dei consumatori, probabilmente potrà produrre, come effetto inflattivo, un forte rimbalzo dei valori stessi.