[A cura di: Achille Colombo Clerici – presidente Assoedilizia]
Questo è l’anno decisivo per la ripresa del Paese: o si registra una crescita del Pil almeno dell’1,5% oppure ci aspettano lacrime e sangue, a cominciare dall’innalzamento dell’Iva. Un forte contributo alla ripresa può venire da un settore immobiliare che produca maggior volume di attività economica. Ma esso stenta a uscire dalla crisi: mentre nel 2007 i permessi di costruzione sono stati 365.000, nel 2014 sono precipitati a 55.000, lo stesso numero di nuovi edifici del 1936. Remano contro la ripresa, il sistema creditizio prodigo con i mutui ma non con le piccole e medie imprese di costruzione, e la burocrazia che consente di costruire un edificio solo dopo 4 o 5 anni dalla presentazione del progetto.
In particolare, si calcola che dei 350 miliardi di crediti in sofferenza delle banche, ben 100 siano del settore immobiliare; il che spiega – anche se non giustifica – la diffidenza degli istituti a concedere altro credito. Poi ci sono gli sprechi. Solo per citare, lo Stato paga 900 milioni di affitto all’anno per le proprie sedi nonostante abbia migliaia di uffici vuoti.
Se ne è parlato in occasione del Re Italy Winter Forum di Milano, dove si sono ritrovati gli Stati Generali del real estate italiano per discutere delle sfide che attendono il settore. Problemi ma anche opportunità. Ad esempio, l’Italia è l’unico Paese politicamente stabile nell’area del Mediterraneo e questo giustifica una view positiva su tutto il 2016. E ancora: Milano è già ripartita e, anche se non è tra le città che guidano il mercato in Europa, è senz’altro tra le mete sotto i riflettori degli investitori.
Per il resto del Paese persiste un po’ di ritardo, ma il sentiment è positivo. Senza contare che già l’anno scorso si erano registrati numeri incoraggianti: il mercato immobiliare nel 2015 ha invertito il ciclo negativo degli ultimi anni e ha chiuso l’anno con una crescita del fatturato del 3,7%. Anche al Sud qualcosa si muove: la messa in vendita di 11 fari dismessi per la trasformazione in residenze, hotel ed altro, ha ottenuto ben 39 offerte.
Resta però il fatto che, di fronte a un miglioramento nel numero delle compravendite, continua la limatura dei prezzi. E se mettiamo in rapporto l’immobiliare con altri settori produttivi, i risultati sono sconcertanti. Nel 2015 l’automotive ha segnato più 20%, la casa, come si è detto, il 3,7%; mancano in Italia 300.000 alloggi (i 100.000 vuoti non si vendono perché non incontranti la domanda, anche per la scarsa qualità); la ricchezza mobile di una parte degli italiani è aumentata. E allora perché non c’è ripresa? Forse è l’intero sistema che va cambiato, dalla comunicazione del prodotto al servizio di assistenza, di rateazione, di assicurazione. Un cambiamento troppo complesso per essere gestito solo da qualche componente del sistema.
Ecco allora la necessità di una vera politica immobiliare. Una risposta è stata l’istituzione dell’Osservatorio parlamentare sul mercato immobiliare che ha quali obiettivi un percorso virtuoso di riscatto del settore, contribuendo a velocizzare i tempi, portando a sintesi le posizioni della politica – rappresentata da oltre cento parlamentari membri dell’Osservatorio stesso – e delle associazioni di categoria. Ed è necessaria una forte defiscalizzazione, che consenta a medio-lungo termine di ritrovare, per chi investe nel mattone nel nostro Paese, quanto meno il mantenimento, sul piano non meramente teorico, del valore nel tempo, ed una più adeguata redditività.
Come conferma l’Istat, sta timidamente tornando l’antico sentiment degli italiani per la casa. Con molta prudenza. I dati parlano di uno 0,2% di aumento dei prezzi del residenziale, il primo dal 2011, di circa 470.000 compravendite rispetto alle 421.000 del 2014 (curiosità, riprendono gli acquisti anche da parte degli immigrati, più 38.000 unità) mentre la concessione di mutui è quasi raddoppiata. Le cause sono da ricercarsi sia nell’aumentata disponibilità di spesa degli italiani, sia nella perdita di appetibilità di altre forme di investimento: quello in prodotti finanziari, innanzitutto, che hanno confermato l’inaffidabilità, e quello nei titoli di Stato, per i rendimenti praticamente nulli. Mentre i prezzi delle case hanno raggiunto il minimo e, pertanto, dovrebbero soltanto risalire. Per quanto riguarda gli altri settori dell’immobiliare (uffici, negozi, alberghi industrie) le previsioni si orientano verso la stabilità o una moderata crescita, eccezion fatta per gli immobili ad uso industriale, per i quali prevale la convinzione che la crisi non sia ancora terminata.
Che non si tratti di un fenomeno passeggero è sostenuto da una ricerca dell’Università di Parma, le cui rilevazioni mostrano un trend in ascesa nella fiducia degli operatori che, a fine 2015, dovrebbe aver raggiunto o superato, secondo le stime, il 70%. Il minimo della fiducia nel mercato immobiliare è stato registrato nel 2011, quando solo il 24% dei risparmiatori era disposto ad investire nell’immobile (nel 2006 era il 70%). Sulla base di tali premesse, è quanto mai opportuna una più decisa politica per l’immobiliare. Ad integrazione delle tanto pubblicizzate abolizioni di Imu e Tasi per la prima casa, si dovrebbe adottare, per esempio, una maggiore equità nella distribuzione del carico fiscale tra proprietari di prima casa e di alloggi in locazione; favorire la mobilità della proprietà; alleviare il carico fiscale su negozi e uffici in locazione, introducendo la cedolare secca, come richiesto peraltro da Confcommercio.