In caso di danni a proprietà private causati dalla cattiva manutenzione delle parti comuni, il condominio è tenuto solo a ripristinare le condizioni originarie dell’unità danneggiata o anche a risarcire il danno? Questo, in estrema analisi, l’oggetto di un quesito pervenuto alla rubrica di consulenza legale di Italia Casa e Quotidiano del Condominio. Di seguito una sintesi della vicenda e il parere legale fornito dall’avvocato Gabriele Bruyère, presidente nazionale Uppi.
D. Nella soffitta pertinenziale del mio appartamento si sono verificate copiose infiltrazioni di acqua piovana, causa tegole che si erano spostate, che hanno provocato due tipi di danni. E precisamente:
L’amministratore di condominio ammette la responsabilità del condominio, essendo il tetto parte comune, e si dichiara disponibile a provvedere, a spese del condominio, al restauro delle murature, ma non vuole riconoscermi alcun risarcimento per i danni alle cose mobili. Con il seguente argomento: trattandosi di beni di qualche valore, io non avrei dovuto tenerli ricoverati in un locale di sgombero, quale la soffitta, ma conservarli altrove con più attenzione.
Come procedere?
R. Il problema delle infiltrazioni d’acqua dal tetto e dei conseguenti danni alle pareti, soffitti, mobili è uno dei problemi che interessa maggiormente sia le parti comuni del condominio sia le singole unità immobiliari degli edifici in condominio.
Responsabile dei danni che provengono da infiltrazioni dal tetto è lo stesso condominio in quanto custode dei beni comuni il quale per liberarsi dalla presunzione di responsabilità a suo carico per il danno cagionato dal bene che ha in custodia deve provare che l’evento si è verificato per caso fortuito che gli ha impedito di prevenire il verificarsi dell’evento dannoso o che gli ha impedito di ridurre le conseguenze in merito al danno cagionato a terzi. Se il custode non è in grado di dimostrare il caso fortuito deve rispondere per intero dei danni cagionati.
Nel caso indicato dal lettore, il condominio riconosce la propria responsabilità ma vorrebbe risarcire il danno provvedendo direttamente ai restauri murari omettendo tuttavia di risarcire la perdita di cose mobili di valore. Orbene, il risarcimento del danno può avvenire, in relazione alla sua funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato in assenza dell’evento lesivo, tanto per equivalente in denaro a sensi dell’art. 2056, c.c., quanto in forma specifica, art. 2058 c.c, mediante condanna del debitore al ripristino della situazione materiale anteriore all’evento ovvero al pagamento di una somma corrispondente alle spese occorrenti per tale ripristino.
Le due forme di risarcimento, che non escludono il ristoro di eventuali ulteriori pregiudizi subiti dal danneggiato, non sono tra loro cumulabili, pur essendo rimessa al danneggiato la scelta della forma di risarcimento ed in facoltà del giudice (od obbligo nell’ipotesi prevista dall’art.2933 c.c., comma 2) disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulti eccessivamente onerosa (art. 2058 c.c., comma 2).
Per quanto attiene i beni mobili di valore se non si riesce a dare la prova del valore, a venire in rilievo non è tanto il valore patrimoniale dei beni in sé considerati (fonte autonoma di risarcimento danni, in base al valore di mercato o di scambio dagli stessi posseduto), ma quello non patrimoniale, in conseguenza degli effetti destabilizzanti provocati nell’individuo, a causa dell’evento dannoso che li ha riguardati.
L’autonomo rilievo giuridico degli oggetti d’affezione, negato per molti anni sia in dottrina che in giurisprudenza, nel senso che il loro danneggiamento (o smarrimento) potesse dare origine ad un risarcimento nei confronti del legittimo proprietario, ha trovato ingresso nel campo della responsabilità civile solo di recente, grazie al crescente interesse e all’evoluzione avvenuta in materia di danni alla persona. Pertanto, nella giurisprudenza di merito vi è stata una apertura verso la risarcibilità del danno non patrimoniale agli oggetti d’affezione che oscilla tra il danno esistenziale, in quanto attinente a profili relazionali della persona lesi nel loro carattere spirituale in ragione del valore intrinseco che il bene assume, e quello morale, sul piano della mera sofferenza interiore. Sotto questi profili si può valutare una richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale.
La tesi dell’amministratore che non si dovevano riporre i libri in un locale di sgombero per evitare il risarcimento non pare avere pregio laddove in precedenza in quel locale non si erano mai verificate infiltrazioni di alcun genere.