In un quesito legale inviato da un abbonato alla redazione di Italia Casa e Quotidiano del Condominio, viene chiesto di valutare la legittimità della realizzazione di un ascensore esterno, la cui installazione era stata deliberata in assemblea, tenuto conto del fatto che, a seguito della relativa collocazione, il vano scala dello stabile è stato privato internamente per tutta la sua altezza (4 piani) del 50% della luce in ragione della eliminazione delle finestre, sostituite da porte senza luce.
Ecco il parere fornito dall’avvocato Emanuela Rosanna Peracchio (in foto), di Torino.
Anzitutto occorre precisare che l’installazione di un ascensore in uno stabile in condominio è configurabile quale innovazione suscettibile di utilizzazione separata da parte dei singoli condòmini a norma dell’art. 1121 c.c. Il legislatore ha tracciato alcuni limiti in materia di innovazioni e segnatamente:
a) a sensi dell’art. 1120 c.c. sono vietate le innovazioni che rendono talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino. A tal fine si deve pertanto valutare se l’occupazione delle aree comuni esterne sia ostativa alla realizzazione dell’opera tenendo conto che il concetto di inutilizzabilità è stato interpretato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità non come il semplice disagio nell’utilizzazione del bene comune in conseguenza della installazione ma come concreta inutilizzabilità della cosa comune secondo la sua naturale fruibilità;
b) è illegittima la innovazione che altera il decoro architettonico dello stabile poiché la legge tutela la diminuzione di valore dell’immobile in conseguenza del mutamento estetico apportato dall’innovazione. Secondo la Suprema Corte la realizzazione di una opera che determina una alterazione del decoro dell’edificio condominiale è vietata ai sensi dell’art. 1120, comma 4, c.c. quando comporta un deprezzamento dell’intero fabbricato, essendo invece lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a una utilità la quale compensi l’alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità;
c) sono vietate le innovazioni che comportano limitazioni della visibilità e dell’ariosità, oltre che dell’utilizzo e dell’acceso, a discapito anche solo di un condomino. A tutela della lesione del diritto di luce ed aria, la Sprema Corte (ex multis, cfr. Cass. Civ. n. 6295/2015) ha statuito la nullità della delibera assembleare e conseguente irrealizzabilità dell’ascensore esterno argomentando che “i poteri dell’assemblea non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condòmini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive, salvo che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda (in tale senso Cass. civ. n. 4726/2016).
Nel caso in esame viene riferito che, a seguito della installazione dell’ascensore esterno deliberato in assemblea, il vano scala interno dello stabile è stato privato in misura del 50% di luce ed aria a seguito della eliminazione delle finestre sostituite da porte senza luce.
Al fine di correttamente inquadrare la problematica giuridica sottesa al caso in esame, è necessario premettere che il legislatore con Legge n. 13 del 1989 in materia di superamento delle barriere architettoniche ha statuito un abbassamento del quorum deliberativo richiesto in sede di assemblea per l’innovazione indipendentemente dalla presenza di disabili, in relazione ai quali è invece dettata la disposizione del comma 2 che consente loro, in caso di rifiuto del condominio di assumere le deliberazioni aventi ad oggetto le innovazioni atte ad eliminare le barriere architettoniche, di installare a proprie spese servo scala o strutture mobili e modificare l’ampiezza delle porte di accesso al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garage.
In materia di innovazioni, la Suprema Corte (Cass. n. 18334 del 25.10.2012) ha precisato che al fine di valutare la sussistenza dell’ipotesi di innovazione vietata ex art. 1120, comma 2, c.c. occorre verificare se l’innovazione realizzata è idonea a recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato ovvero se è tale da alterare il decoro architettonico o da rendere talune parti dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche solo di un condomino.
Il giudice di legittimità insegna che, nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’art. 1120 comma 2 c.c., il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subìto rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità. Secondo la Suprema Corte si può tenere conto di specificità, che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino, solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo.
Nel caso in esame non è dato di sapere se vi siano (o meno) persone disabili all’interno dell’edificio e se la delibera assembleare sia stata oggetto di eventuali impugnazioni. Ad ogni buon conto, in assenza delle precisazioni anzidette si può affermare in linea generale che, in ossequio all’insegnamento della Suprema Corte, dal quale non vi è motivo di discostarsi, non può ritenersi vietata quella innovazione (e quindi la installazione di un ascensore) che comporta un semplice disagio ovvero parziale compressione del diritto del singolo senza tuttavia comportare la concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, occorre infine precisare che, solo nell’ipotesi in cui si sia effettivamente in presenza di un innovazione vietata nei termini e nei limiti sopra specificati, la tutela giurisdizionale esperibile è una azione ordinaria di risarcimento del danno e rimessione in pristino, non essendo accessibile la tutela in via possessoria stante la mancanza dei presupposti fattuali e giuridici per siffatta azione speciale, e condizione imprescindibile è che sia stata impugnata la delibera di assemblea a sensi dell’art. 1137 cod. civ..