La differenza tra occupazione e uso più intenso della cosa comune in condominio. Questo, in estrema sintesi, l’oggetto di un quesito inviato da un abbonato alla rubrica di consulenza legale di Italia Casa e Quotidiano del Condominio. Di seguito una sintesi della vicenda e il parere fornito dall’avvocato Emanuele Bruno di Matera (www.studiobruno.info).
D. Io sono proprietaria di un alloggio in condominio. Lo stabile ha due locali comuni situati nella zona cantine. Uno di essi è stato occupato abusivamente da alcuni anni (forse 18 anni) da una signora, nonostante si tratti, appunto di uno spazio ad uso condominiale. Insieme ad un altro condomino abbiamo sollecitato verbalmente l’amministratore affinché ripristinasse una situazione di legalità, ma nulla.
Si tratta di una questione di rispetto, dato che né io né altri condòmini abbiamo dato il consenso perché questa signora si appropriasse di quegli spazi. Dunque, vi scrivo per sapere se l’amministratore può agire per ripristinare la situazione a fronte di una richiesta scritta da parte mia, vista la problematica e l’urgenza, oppure se sia necessaria una delibera dell’assemblea.
R. Occorrerebbe innanzitutto chiarire cosa si intenda per occupazione. In condominio, l’uso più intenso del bene comune è lecito: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso” (art. 1102 c.c.).
La norma richiamata, all’ultimo comma, spiega che l’uso più intenso è condotta differente da quella con cui il condomino compie atti idonei a mutare il titolo di possesso (da uso comune a uso privato).
Semplificando, se occupo un’area comune con degli scatoloni, sto esercitando un uso più intenso delle parti comuni; se chiudo con dei divisori cementizi (o similari) un’area comune e ne consento accesso mediante porta, sto utilizzando quegli spazi come fossero privati; nella seconda ipotesi, la condotta spiega che è mutato il titolo del possesso (da area comune ad area privata).
Tale distinzione rileva ai fini della possibile usucapione del diritto di proprietà (o di altro diritto reale di godimento) dell’area. L’usucapione non si produce se il condomino utilizza un’area in modo più intenso, mentre si potrebbe compiere nel caso in cui l’area è utilizzata in modo esclusivo.
La questione potrà essere definitivamente compresa leggendo le due massime di seguito richiamate.
Tribunale di Benevento, sent. 14.01.2019 – L’usucapione dei beni in comunione è disciplinata dall’art. 1102 c.c., che stabilisce come requisito necessario a tale stregua quello della c.d. interversione del possesso, ovvero il compimento di atti idonei a mutare il titolo del godimento del bene, cioè atti che servono a rendere incompatibile l’esercizio del potere dell’occupante con il permanere del possesso altrui.
Cass. Civ. n. 9100/2018 – Il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo (“uti dominus”), non ha la necessità di compiere atti di “interversio possessionis” alla stregua dell’art. 1164 c.c., dovendo, peraltro, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed “animo domini” della cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui, non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore.
In concreto, accertata la reale condotta del condomino, se si tratta di un uso più intenso, l’amministratore dovrà attivarsi affinché venga ripristinato l’uso delle parti comuni; nella differente ipotesi di utilizzo privato, occorre ricordare che ex art. 1158 c.c. la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui medesimi beni si acquistano in virtù del possesso continuato ventennale, dunque, verificata la sussistenza di eventuali atti precedenti interruttivi, occorre adoperarsi per ripristinare la destinazione comune del bene.
L’amministratore (art. 1130 comma 1 n. 2 c.c.) deve operare autonomamente per la tutela delle parti comuni, ove occorra anche in via giudiziale così come previsto dall’art. 1136 c.c., senza necessità di particolari richieste.
In caso di disinteresse dell’amministratore, è opportuno che si attivino direttamente i condòmini.