Niente allarmismi sull’eventuale obbligo di revisione delle tabelle millesimali del riscaldamento a seguito dell’installazione dei sistemi di contabilizzazione del calore in ambito condominiale. A stemperare le ansie degli amministratori, è Hans Paul Griesser (nella foto), presidente di ANCCA, che risponde, così, indirettamente ad un articolo a firma dell’avvocato Edoardo Riccio, apparso nei giorni scorsi sul quotidiano on line del Sole 24 Ore.
Nella sua dissertazione, il legale aveva evidenziato come sia “obbligatorio redigere e approvare la nuova tabella millesimale quando per la ripartizione della spesa del riscaldamento viene fatto ricorso alla norma Uni 10200. Lo impone la norma tecnica stessa, richiamata dal Dlgs 102/2014 articolo 9, comma 5, lettera d). Attenzione, però: nei casi in cui una relazione asseverata dovesse attestare che vi sono differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari superiori al 50%, è possibile anche utilizzare la precedente tabella millesimale per ripartire le spese sopra indicate”.
Come sottolineato da Griesser, presidente dell’associazione nazionale contabilizzazione del calore e dell’acqua, “uno squilibrio dei fabbisogni tra almeno 2 unità immobiliari di oltre il 50% è quasi sempre dato, soprattutto in condomini vecchi, dove questa condizione è praticamente certa. Se il condominio si fa redigere la perizia asseverata che semplicemente conferma questa differenza tra 2 unità immobiliari (perizia che al massimo costa 150-200 euro, ma che alcune aziende di servizio offrono anche gratuitamente), l’assemblea diventa libera di deliberare come contabilizzare i costi. Questo significa che:
Come si traducono, concretamente, queste indicazioni? Come precisa ancora Griesser, “a parte che ci sarà, ovviamente, un altissimo risparmio sui costi per il progetto e il calcolo dei millesimi secondo i fabbisogni (previsto solo dalla UNI 10200) da parte di tecnici abilitati, ciò eviterà anche moltissime contestazioni da parte di quegli utenti che sono gravemente danneggiati se anche i costi fissi (o involontari come sono chiamati nella UNI 10200) vengono ripartiti in base ai singoli fabbisogni delle unità immobiliari. Dovrebbe essere chiaro a tutti che derogare dalla UNI 10200 e prevedere una suddivisione delle spese come appena indicato, per l’utente finale è il metodo di gran lunga più economico, trasparente (perché facilmente spiegabile a chiunque) ed equo (perché non penalizza pesantemente alcune unità immobiliari). E per un proprietario di un immobile che affitta l’appartamento, ciò è ancora più interessante, poiché riduce al minimo i costi per l’installazione chiavi in mano dei ripartitori, assicurando la conformità con la legge e non riducendo l’incentivo al risparmio energetico, anzi”.
Nessuna polemica, dunque, ma anche nessun allarmismo: “Riassumendo – chiosa Griesser – quanto detto dall’avvocato Riccio è corretto, ma si fonda prevalentemente solo su quanto previsto dalla norma UNI 10200 e non sulla soluzione alternativa, che è anche quella più vantaggiosa per il consumatore finale”.
Sull’ambito di applicazione della UNI 10200 si riporta anche una nota redatta dall’avvocato Francesco Glaviano, patrocinante in Cassazione, Milano, per conto della stessa ANCCA.
“In seguito all’entrata in vigore il 26 luglio 2016 del Decreto Legislativo 18 luglio 2016 n. 141, che prevede disposizioni integrative al Decreto Legislativo 4 luglio 2014 n. 102, di attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, di fatto è estremamente ristretto l’ambito di applicazione della norma UNI 10200, in quanto:
La UNI 10200 ha oggi un’applicazione del tutto residuale poiché: