[A cura di: Anit] Chi si occupa di analisi energetica sa che per calcolare il fabbisogno di un edificio è necessario valutare il comportamento del cosiddetto sistema edificio-impianto. Questo vale in particolare per i servizi energetici di riscaldamento e raffrescamento per i quali si calcola prima un fabbisogno ideale di energia termica con un bilancio sull’involucro (l’edificio) e poi il fabbisogno di energia primaria legato ai rendimenti dei sottosistemi impiantistici (l’impianto).
Proprio di tale tema, cui si accenna di seguito si parlerà più approfonditamente al congresso Anit del 29 novembre, nella sessione “Progettazione estiva: dal modello stazionario al modello dinamico”.
Per quanto riguarda il primo aspetto, ovvero il bilancio sull’involucro, siamo abituati a ragionare in termini “semi-stazionari medi mensili”. Questo significa che:
Questo approccio, in uso ormai da diversi decenni e confermato dalle UNI/TS 11300 dal 2008 in poi, ha due grossi vantaggi e un grosso difetto. Il primo vantaggio è la semplicità: con un po’ di pazienza e una calcolatrice si può studiare (e capire) il bilancio energetico di qualunque edificio, dall’appartamento di 50 mq al complesso polifunzionale di 2000 mq. Il secondo vantaggio è l’affidabilità dei risultati per il servizio di riscaldamento: sebbene l’analisi media mensile rappresenti una semplificazione della realtà, i risultati che si ottengono su questo servizio sono confrontabili con i valori reali. E visto che il riscaldamento è il servizio più importante, l’approccio mensile ha favorito il riscontro tra strategie energetiche e predizione dei consumi.
Il grande difetto invece riguarda l’analisi del servizio di raffrescamento: l’approccio mensile porta a risultati che non hanno nulla a che vedere con la situazione reale, e in alcuni casi suggerisce l’adozione di misure di progettazione estiva che vanno nella direzione opposta rispetto a quelle realmente efficaci.
I due recipienti rappresentano un edificio attraversato da flussi energetici in condizioni di riscaldamento H (a sinistra) e di raffrescamento C (a destra). Secondo le norme UNI/TS 11300 in entrambi i casi il bilancio dell’involucro si risolve impostando una temperatura interna ideale, nell’immagine 20°C e 26°C, e analizzando le 4 grandezze coinvolte nel bilancio: gli apporti solari Qsol e gli apporti interni Qint in ingresso e le dispersioni per trasmissione Qtr e per ventilazione Qve in uscita.
Applicando lo schema di sinistra a un mese freddo, ad esempio gennaio, è facile immaginare il prevalere delle dispersioni sugli apporti e quindi una perdita di energia nel contenitore. Questa perdita rappresenterebbe esattamente la quantità di energia richiesta dall’involucro (definita come QH,nd) da integrare nel recipiente per riportare il livello energetico al punto di partenza, ovvero 20°C, per l’analisi del mese successivo.
Per il servizio di riscaldamento lo schema di sinistra spiega bene la realtà e suggerisce di bilanciare perdite e apporti grazie soprattutto all’isolamento dell’involucro per ridurre le dispersioni e all’ottimizzazione delle superfici trasparenti e delle schermature per sfruttare gli apporti solari nei mesi invernali.
Per un mese caldo, ad esempio luglio, invece lo schema di destra non funziona e il valore di QH,nd calcolato è lontano dalla realtà. Il metodo non è in grado infatti di considerare fenomeni reali importanti come gli effetti inerziali giornalieri delle strutture dell’edificio o l’incidenza dell’inclinazione solare oraria per il calcolo degli apporti solari. Ma soprattutto il difetto più grande è quello di considerare un unico valore di temperatura esterna per l’intero mese anziché la reale oscillazione ora per ora delle temperature.
Ne consegue che se nella località considerata la temperatura media esterna suggerita dalle norme è inferiore a 26°C (come ad esempio a Milano 24,5°C, Bologna 24.8°C e Napoli 25.4°C), i flussi di Qtr e Qve vengono considerati costantemente in uscita, ovvero risultano essere una fonte continua di dispersione energetica per tutti i 30 giorni del mese considerato. E assecondando questo approccio sembrerebbe utile indebolire l’isolamento delle strutture per evitare il rischio di surriscaldamento.
Nei nostri climi è invece importante agire in modo contrario, ovvero proteggere l’edificio dalle sollecitazioni climatiche esterne per evitare l’ingresso di energia. Infatti una corretta strategia di progettazione estiva prevede l’isolamento dell’involucro, lo studio puntuale delle schermature solari, l’analisi dei tempi di risposta inerziale dell’intero edificio e lo sfruttamento della ventilazione naturale per favorire il comfort.
I problemi sopra descritti sono risolvibili passando a un modello di calcolo dinamico orario. L’idea infatti è che con un passo temporale ridotto all’ora (e non più al mese) e un modello in grado di considerare la ripercussione dei fenomeni nel tempo (e non più stazionario) possiamo avvicinare la nostra analisi al reale comportamento dell’edificio sia nei periodi freddi che caldi.
Queste considerazioni sono alla base dell’attuale sviluppo normativo che porterà alla sostituzione delle UNI/TS 11300 a favore di un nuovo modello dinamico orario grazie alla norma UNI EN ISO 52016 “Prestazione energetica degli edifici – Fabbisogni energetici per riscaldamento e raffrescamento, temperature interne e carichi termici sensibili e latenti”. Questo cambiamento normativo è previsto nell’arco dei prossimi due anni e sarà accompagnato dalla diffusione di strumenti di calcolo avanzati tra tutti i progettisti.