[A cura di: Fabrizia Giordano, vice presidente Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino, e Fabrizio Mario Vinardi, Segretario Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino] Un vecchio adagio piemontese recita “Ciò che ripara dal freddo, ripara anche dal caldo” e, probabilmente, è per questo motivo che le nostre nonne ci vestivano di tutto punto anche in estate, dicendoci “Non sudare e soprattutto fai attenzione alle correnti d’aria”.
Se trasportiamo quest’idea all’involucro edilizio, sicuramente le nostre nonne avevano ragione: una appropriata coibentazione crea la giusta barriera sia contro il clima rigido invernale sia contro la calura estiva, permettendo un significativo risparmio in bolletta a parità di comfort, ma se non consideriamo altri fattori di natura termoigrometrica, rischiamo di commettere gravi errori.
È proprio quello che è successo nel caso reale di cui parleremo, prima però è necessario introdurre alcuni concetti di termotecnica, in questo caso prediligendo la semplicità espositiva ad un effettivo rigore tecnico.
Per prima cosa, cerchiamo di comprendere insieme che cosa significa il termine “trasmittanza” o, meglio, “trasmittanza termica”: è una grandezza fisica la cui definizione corretta è “quantità di energia termica che attraversa una struttura sottoposta ad una differenza di temperatura”.
Dal punto di vista pratico, esprime la quantità di calore che attraversa una parete quando le due facce sono sottoposte a temperature diverse (tipicamente l’ambiente abitato interno e l’esterno); la trasmittanza, che si indica con U e si misura in W/m²K, viene utilizzata quale indicatore del grado di isolamento della parete stessa, con l’accorgimento che a trasmittanza minore corrisponde un isolamento maggiore e, quindi, un miglior risparmio energetico.
Per comprendere meglio, dire che una parete ha una trasmittanza U di 0,182 significa che 1 m² di parete lascia passare (ossia disperde) 0,182 watt di energia quando la differenza di temperatura tra le due facce è di 1 °C (la differenza di temperatura di 1 Kelvin corrisponde esattamente a quella di 1 °C). Quindi, se in inverno ci sono all’esterno 0 °C e all’interno il riscaldamento ha portato la temperatura ai classici 20 °C, ogni m² di quella parete permetterà una dispersione termica di 0,182 x 20 = 3,64 W.
Se, per semplicità di calcolo, si considera una temperatura interna mantenuta costante nelle 24 ore, avremo una dispersione di poco più di 87 Wh, ossia 0,087 kWh al giorno per ogni m² di parete.
Un altro termine con cui bisogna familiarizzare è verifica termoigrometrica: valuta la probabilità che si formi una condensa all’interno di una struttura o di un materiale (condensa interstiziale), confrontandola con la quantità limite ammissibile.
La condensa è un fenomeno di cui tutti abbiamo esperienza comune, ad esempio quando in estate si toglie una bottiglia dal frigorifero, si vede che in pochissimo tempo si formano goccioline d’acqua sulla superficie fredda della bottiglia stessa: è il vapore acqueo presente nell’aria che “condensa” (ossia diventa liquido) a contatto con la superficie fredda.
Ora che possediamo una adeguata “cassetta degli attrezzi”, possiamo affrontare il caso studio, ricordandoci che – in linea di principio – scegliere di applicare uno strato di isolamento (il cosiddetto “cappotto”, che più propriamente si chiama “cappotto termico”) sulla facciata esterna delle pareti che costituiscono il guscio disperdente di un edificio è la cosa migliore, perché protegge la struttura prima che il caldo o il freddo la attraversino (il cappotto interno è meno efficiente, in quanto necessariamente presenta discontinuità ogni volta che vi è un tramezzo divisorio o un solaio).
Il cappotto termico esterno consente, inoltre, di abbattere in modo semplice i famigerati ponti termici, ossia quelle aree localizzate in cui, per motivi diversi, spesso dovuti alla presenza dei pilastri che costituiscono la struttura portante dell’edificio, si crea una via privilegiata di trasmissione del calore (alla luce dei concetti che abbiamo appena appreso, possiamo dire che nei ponti termici si ha una trasmittanza molto più alta rispetto alle zone circostanti).
Tuttavia, la scelta della tipologia di isolamento termico da applicare alle strutture esterne di un edificio (che, peraltro, consente anche un abbattimento acustico) deve essere progettata sul caso specifico (come un abito su misura), valutando di volta in volta la zona geografica di appartenenza, le caratteristiche climatiche, l’esposizione della struttura (sia rispetto ai punti cardinali sia come esposizione al vento), l’eventuale presenza di edifici vicini, la destinazione d’uso dei locali che condizionano il microclima interno (condizioni di umidità e temperatura interne, affollamento, ricambi d’aria, presenza di sistemi di ventilazione meccanica controllata, ecc.).
Un amministratore condominiale ha tra i propri clienti un condominio composto da una palazzina costruita nei primi anni ’70, la cui assemblea decide di far eseguire un intervento di riqualificazione energetica al fine di ottenere un risparmio sui consumi di riscaldamento invernale e un miglior comportamento a livello di comfort nei mesi estivi.
All’assemblea vengono proposti i preventivi di più imprese, con soluzioni tecniche diverse; nelle varie discussioni che seguono, non viene raggiunta una decisione che “convinca” fino in fondo e si decide di eseguire l’intervento che appare più economico solo su una delle due scale, per valutarne la bontà.
L’impresa cui vengono appaltati i lavori esegue pertanto l’isolamento, con un’azione di insufflaggio a base di lana di vetro nella cassa vuota delle pareti esterne, sulla sola scala A.
A distanza di un paio d’anni, i condòmini della scala A lamentano sulle pareti interne degradi causati da umidità e muffe e, contestualmente, un discreto risparmio energetico, giudicato comunque insoddisfacente rispetto alle aspettative: ne nasce un contenzioso con l’impresa, che fortunatamente si limiterà alla fase stragiudiziale.
Il professionista, esperto di Ingegneria Forense, chiamato a risolvere bonariamente il contenzioso, esamina i progetti originari ed effettua un paio di sopralluoghi, da cui emerge che lo stabile è costituito da 12 unità immobiliari adibite a civile abitazione, per una volumetria totale riscaldata di indicativi 3.200 m3, e non risulta protetto dal vento e/o dall’irraggiamento solare, in quanto costruzione isolata e indipendente sui 4 lati.
La superficie totale disperdente rappresentata dal totale delle pareti esterne è di circa 1.200 m2, corrispondente al 40% della totalità delle strutture disperdenti verso l’esterno. La struttura portante è in calcestruzzo armato, e una verifica della stratigrafia delle pareti non trattate ha permesso di accertare che la muratura esterna è effettivamente una doppia parete in laterizio forato (cassa vuota priva di isolamento), intonacata su entrambe le facce.
Acquisite queste informazioni, occorre calcolare che la trasmittanza della stratigrafia delle pareti esterne sia proprio quella sopra descritta, per verificare anzitutto se dall’intervento sia derivato un buon risultato in termini di isolamento. I calcoli portano ad un valore di circa 1 W/m2K per le zone non ancora trattate (per avere un termine di confronto, si pensi che ad un edificio di nuova costruzione viene richiesta una trasmittanza di circa 0,2 W/m2K).
Per completezza, si esamina anche l’impianto di riscaldamento, che è di tipo centralizzato con caldaia modulare a condensazione alimentata a gas metano, distribuzione a colonne montanti non coibentate, inserite in traccia nel paramento interno delle pareti esterne e radiatori del tipo in ghisa a colonne installati sulle pareti esterne.
È importante sottolineare come questa tipologia di distribuzione del calore, tipica degli anni in cui la palazzina è stata realizzata, comporti delle forti dispersioni di calore dalle colonne montanti di distribuzione dell’acqua calda e dai radiatori verso l’esterno attraverso le pareti esterne di facciata.
Tramite costruzione di modello e simulazione di calcolo con software applicativo, certificato dal Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente per le prestazioni energetiche degli edifici, si valuta il comportamento della parete esterna secondo la soluzione adottata per la scala A (cassa vuota della parete esterna riempita con materiale adatto per l’insufflaggio a base di lana di vetro): la simulazione di calcolo dimostra la bontà della soluzione dal punto di vista della trasmittanza, che scende da 1 ad un decoroso 0,3 W/m2K.
L’intervento del professionista chiamato quale mediatore fa però emergere una criticità: la verifica termoigrometrica, eseguita secondo la norma UNI EN ISO 13788:2013, permette di calcolare che la quantità massima di condensa interstiziale formatasi durante l’anno ha superato la quantità massima ammissibile.
Per completezza, va detto che dalla simulazione emerge anche che la condensa così formatasi dovrebbe evaporare completamente a fine stagione, ma è evidente che ciò (almeno per il ristretto campione temporale di due stagioni a disposizione) non è avvenuto; in ogni caso, quand’anche si ottenesse un ciclo di asciugatura nell’anno, permane il rischio che l’umidità così formatasi comporti un degrado accelerato della facciata.
Stratigrafia (soluzione insufflaggio – solo scala A):
N. | Descrizione strato | s |
---|---|---|
1 | Intonaco di cemento e sabbia | 15,00 |
2 | Mattone forato | 120,00 |
3 | Materiale per insufflaggio | 100,00 |
4 | Mattone forato | 120,00 |
5 | Intonaco di cemento e sabbia | 15,00 |
[x] La struttura non è soggetta a fenomeni di condensa superficiale.
[] La struttura non è soggetta a fenomeni di condensa interstiziale.
[x] La struttura è soggetta a fenomeni di condensa interstiziale, ma la quantità è ri-evaporabile durante la stagione estiva.
Verifica del rischio di condensa interstiziale (secondo UNI EN ISO 13788)
Verifica condensa interstiziale Negativa
Tra le soluzioni alternative originariamente preventivate, vi è quella di spostare l’isolante sul paramento esterno della facciata, attraverso la posa di un cappotto termico esterno: a parità di spessore dell’isolante, la simulazione a calcolatore dà una trasmittanza della parete così risultante pressoché identica all’insufflaggio, ma in questo caso la verifica termoigrometrica è positiva, vale a dire che non si creano le condizioni per la formazione di condensa interstiziale durante il corso dell’anno.
Stratigrafia (soluzione finale):
N. | Descrizione strato | s |
---|---|---|
1 | Intonaco di cemento e sabbia | 15,00 |
2 | Mattone forato | 120,00 |
3 | Intercapedine non ventilata Av<500 mm²/m | 100,00 |
4 | Mattone forato | 120,00 |
5 | Intonaco di cemento e sabbia | 15,00 |
6 | Cappotto in fibra minerale | 100,00 |
7 | Intonaco di cemento e sabbia | 15,00 |
[x] La struttura non è soggetta a fenomeni di condensa superficiale.
[x] La struttura non è soggetta a fenomeni di condensa interstiziale.
[] La struttura è soggetta a fenomeni di condensa interstiziale, ma la quantità è rievaporabile durante la stagione estiva.
Verifica del rischio di condensa interstiziale (secondo UNI EN ISO 13788)
Non si verifica formazione di condensa interstiziale nella struttura durante tutto l’arco dell’anno.
Con entrambe le soluzioni il fabbisogno di energia primaria per il riscaldamento diminuiva mediamente del 40% (al momento non era presente impianto per il raffrescamento estivo) con una conseguente diminuzione del combustibile complessivamente consumato nella stagione invernale e minor inquinamento ambientale.
Tuttavia, la soluzione tecnicamente più semplice (ed anche meno costosa) comportava il problema, tutt’altro che secondario, della formazione di condensa interstiziale, con conseguenti fenomeni di umidità e muffa sulle pareti interne.
Impresa e condominio hanno rapidamente trovato un accordo e i lavori di riqualificazione sono proseguiti, installando su tutto lo stabile un cappotto esterno, che rappresenta la soluzione più completa e in grado di offrire maggiori garanzie di durata.
Il caso studio, ancora una volta, mostra che è bene affidarsi ad un professionista del settore, prima di operare scelte strategiche, in quanto spesso le imprese propongono soluzioni tecnicamente valide, ma che non sempre si adattano alla specifica situazione oggetto di studio: ogni caso è a sé e solo il professionista esperto può cucire “il cappotto” veramente su misura.