[A cura di: Oil Control Srl – www.oilcontrol.it] È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n.73 che, modificando il decreto 102/2014 e smi, introduce importanti novità in merito alla contabilizzazione del calore e dell’acqua calda sanitaria in impianti centralizzati. Si tratta dell’attuazione della direttiva UE 2018/2002 che modifica la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica (EED).
È stato eliminato qualsiasi riferimento alla norma tecnica UNI 10200: non è più obbligatorio utilizzarla per la contabilizzazione; ogni condominio può scegliere in piena autonomia quale metodo di ripartizione adottare. Resta correttamente un limite relativo alla quota fissa: questa non può superare il 50% della spesa.
Con l’eliminazione della norma UNI 10200 dalla legge, anche l’Italia si è finalmente uniformata ai metodi di ripartizione impiegati in quasi tutti i paesi dell’UE.
Ora, i condòmini, con una semplice decisione assembleare, sono finalmente liberi di seguire semplici metodologie per la ripartizione dei costi, senza bisogno di perizie tecniche.
Sul sito dell’Associazione Nazionale di Contabilizzazione di Calore e Acqua (ANCCA): https://ww.ancca.org/linee-guida-per-la-contabilizzazione-delcalore-
e-dellacqua/ È possibile trovare un esempio di metodologia semplice e trasparente, che copre anche casi particolari, già applicato in migliaia di condomini eliminando le problematiche.
In pratica, un condominio può ad esempio decidere di stabilire una quota fissa del 30% da ripartire in base ai millesimi usati prima dell’introduzione della contabilizzazione secondo la UNI 10200 (eliminando quindi i millesimi basati sui fabbisogni) e ripartire la restante quota del 70% secondo i consumi rilevati dai dispositivi.
Ripartire anche solo il 50% dei costi secondo consumo porta ad una fortissima motivazione verso un uso intelligente di riscaldamento e acqua calda. Non è infatti corretto né equo che la ripartizione venga effettuata completamente secondo consumo, come precisato anche nelle raccomandazioni della UE.
In pratica, questo cosa significa per chi negli ultimi anni ha già adottato la norma tecnica UNI 10200 per ripartire i costi?
In teoria nulla, in quanto la norma tecnica rimane valida per un uso volontario. Quindi il condominio può continuare ad usarla se era stata introdotta con una decisione assembleare antecedente. Ma in molti hanno sempre considerato questa norma complicata, per nulla trasparente e costosa nell’applicazione; per di più è stata causa di molte discussioni, litigi e cause legali all’interno dei condomini.
Inoltre, con i suoi millesimi calcolati in base ai fabbisogni originari delle singole utenze, la norma ha creato grosse ingiustizie verso pochi (es. ultimi piani). Infatti i millesimi di fabbisogno, con i quali si deve ripartire la quota involontaria nella UNI 10200, vengono ottenuti tramite il calcolo tecnico di un progettista abilitato (cosa che implica un costo considerevole aggiuntivo per ogni unità immobiliare) e rispecchiano la quantità di energia teoricamente necessaria affinché ogni unità immobiliare possa avere, per tutta la durata della stagione termica e quindi anche per temperature esterne estreme, una temperatura di 20°C. Basare la contabilizzazione sui questi millesimi è molto discutibile se non assolutamente sbagliato.
Per il calcolo dei millesimi di fabbisogno, viene poi considerata la situazione originaria dell’appartamento e non è possibile prendere in considerazione le migliorie a livello di efficientamento energetico apportate successivamente (es. doppi vetri, coibentazione, …) nelle unità immobiliari. Questo ha causato grossi squilibri nella ripartizione dei costi oltre alla difficoltà di raggiungere nei condomini la maggioranza necessaria per deliberare in merito agli interventi necessari ai fini del risparmio energetico.
Ma, visto che la norma UNI 10200 ha causato tante contestazioni, squilibri anche insensati e una miriade di problematiche, se un condominio vuole cambiare la metodologia di ripartizione passando dalla UNI 10200 ad un altro metodo, può farlo?
Certamente sì! Serve però una decisione assembleare presa della maggioranza dei presenti che rappresentano almeno 501 millesimi. E questo spesso è difficile da raggiungere, visto che, con la UNI 10200, gli appartamenti situati in mezzo pagano poco di costi fissi in confronto ad altri situati sfavorevolmente (es. ultimo piano).
Notiamo che in molti casi, spiegando l’ingiustizia e appellandosi al buon senso degli altri condòmini e facendo leva sul quieto vivere, molti hanno derogato dalla UNI 10200, anche se la maggioranza “legalmente” poteva avere dei vantaggi economici a diretto danno di altri. Per fortuna il mondo non è sempre egoista.
Ma a noi era stato detto che fare progetti per calcolare vari tipi di fabbisogni che ci sono costati migliaia e migliaia di euro era obbligatorio! Ci era stato detto che non c’erano alternative ed ora questi soldi spesi per calcolare i “nuovi millesimi” sono da buttare?
Purtroppo questo è verissimo ed è dovuto al fatto che gran parte degli amministratori sono stati male informati. Bisogna tenere presente che l’obbligo incondizionato di adottare la norma tecnica UNI 10200 era previsto per legge solo dal luglio 2014 al luglio 2016. Dopo tale data si poteva facilmente derogare dalla norma e non adottare i famosi millesimi secondo i fabbisogni. Ma questo, per ovvie ragioni, da molti è stato tenuto nascosto. Ricordiamoci che per alcune categorie la norma UNI 10200 significava un giro d’affari d’oro ed è abbastanza umano che non dicessero che la ripartizione si poteva fare anche senza cambiare i millesimi del condominio già in vigore in precedenza.
Ma se non riesco a trovare la maggioranza necessaria nell’assemblea per cambiare il metodo di ripartizione e sono uno di quelli gravemente danneggiati economicamente dalla norma UNI 10200, ad es. abitando in una unità immobiliare all’ultimo piano o pianterreno, non posso proprio fare nulla?
Prima di tutto c’è da meravigliarsi perché, nonostante cerchiamo di informarle da parecchi anni, le diverse Unioni Consumatori non sono mai intervenute al riguardo. Speriamo che lo facciano ora per aiutare chi dovrebbero rappresentare.
Poi ora si potrebbe probabilmente intraprendere un’altra strada: contestando anche davanti un giudice una ripartizione fatta secondo la norma UNI 10200.
Spieghiamo meglio. L’Italia recentemente è stata messa in infrazione alle Direttive Europee proprio perché il metodo indicato nella UNI 10200 è contrario ad esse. Questo è dimostrato anche dalla “giustificazione ufficiale” sul perché la norma UNI 10200 sia stata tolta dal Dlgs. Nella nota illustrativa ufficiale che accompagnava il Dlgs 73/20 in mano al Consiglio dei Ministri prima dell’entrata in vigore, si legge: “tenuto conto della necessità di chiudere la procedura d’infrazione avviata dalla Commissione Europea per “split incentives”, l’opportunità di superare l’espresso riferimento alla norma UNI 10200 …”.
Come si può quindi leggere, la UNI 10200 è stata tolta perché contraria alle Direttive Europee. Credo che questo possa essere un ottimo appiglio per un avvocato che vuole contestare ed impugnare un conteggio fatto secondo la norma UNI 10200!
E questo potrebbe anche essere un ottimo consiglio da dare affinché l’assemblea prevenga contestazioni, oltre che prevedere il socialmente giusto, eliminando la ripartizione dei costi come prevista dalla UNI 10200. Ci immaginiamo che confusione nascerebbe se in un futuro un giudice dichiarasse i conteggi fatti come illegali?
Esistono altre possibilità per l’eventuale cambio del metodo di ripartizione passando dalla UNI 10200 al metodo semplificato?
Probabilmente sì. Nella maggior parte dei casi, anche i condomini che pensano di applicare la norma UNI 10200, realmente e inconsapevolmente non lo fanno. Ad esempio, se un utente alla domanda “Come è stata fissata la quota involontaria nel vostro condominio?” risponde “ogni anno sul 25%”, si sa già che in quel condominio la UNI 10200 non viene correttamente applicata e quindi il conteggio è altamente contestabile.
Questo perché la UNI 10200 prevede di calcolare la quota da attribuire ai consumi involontari con un valore costante di energia, cioè kWh. È palese che l’incidenza in percentuale di quella quota in kWh sul consumo totale del condominio non può essere una costante in quanto il consumo totale in kWh varia di anno in anno e conseguentemente anche la quota in percentuale da attribuire come “consumo involontario”.
Una cosa simile vale anche per la produzione di acqua calda sanitaria (ACS) centralizzata: se i “millesimi di fabbisogno” attribuiti per ripartire i consumi involontari dell’ACS sono identici a quelli del riscaldamento, non si è seguito la UNI 10200.
Conseguentemente i conteggi fatti fino ad oggi non erano conformi alla norma UNI 10200 e quindi l’assemblea comunque è costretta a sanare questa situazione.
Ora l’assemblea condominiale può decidere autonomamente la quota da considerare come “fissa”. Quindi può decidere cosa vuole entro il limite del 50%?
Visto che la legge non indica ulteriori limiti, in teoria sì. Ma esiste un aspetto tecnico da considerare e che potrebbe risultare in sentenze di tribunali che annullano ripartizioni dei costi con una quota fissa troppo bassa. Infatti, in quasi tutti gli altri Stati della UE, il legislatore ha determinato un limite massimo e minimo da considerare come quota fissa nella legge stessa. La maggior parte ha fissato questo limite tra il 30% e il 50%.
Anche se l’approfondimento su questa tematica è abbastanza complesso e necessiterebbe un’informativa a parte, cerchiamo di spiegare almeno a grandi linee la ragione della quota fissa. Premettiamo subito che le “perdite” di calore di un impianto non sono misurabili mediante dei contatori e quindi la “quota fissa” sarà sempre una stima. Infatti, anche i costi involontari nella UNI 10200, nonostante l’apparente esattezza visualizzata con calcoli che il normale utente finale non può capire, si basano su valori “standard” e quindi del tutto stimati.
Anche l’uso del riscaldamento che fa il vicino può avere un’influenza sul proprio consumo, talvolta anche notevole: infatti le unità immobiliari non sono termicamente indipendenti. Il calore trasmesso da una unità immobiliare più calda ad altre più fredde può variare in percentuale tra il 10% e il 40%. Ad es. in un appartamento sempre riscaldato, magari orientato a nord, del tutto circondato da altri appartamenti non riscaldati, può esserci un passaggio di calore anche del 40%. La quota fissa deve essere determinata considerando anche quest’ultimo aspetto, attenuando così queste situazioni.
Un’informazione spesso erroneamente fornita è che più un edificio è nuovo ed energeticamente efficiente, più bassa deve essere la quota fissa. In realtà più è alta l’efficienza di un edificio, più sale il costo fisso dell’impianto, cioè il costo direttamente causato ed attribuibile ai consumi diventa più basso.
Concludendo, tranne in casi veramente speciali, sarebbe assolutamente consigliabile una ripartizione, al 50% come quota consumi e al 50% come quota fissa.
Quando la “quota consumi” è troppo alta, le differenze dei costi tra gli appartamenti, anche di identiche dimensioni, diventano troppo grandi. Questo porta di conseguenza anche ad un aumento considerevole delle contestazioni.
Ma questo non inficia la ragione e il senso della contabilizzazione secondo i consumi: per gli abitanti di un edificio rimane comunque la più alta motivazione per risparmiare energia! Questo effetto è importante sia in appartamenti bene coibentati che in edifici vecchi. Uno studio importante ha dimostrato che, migliore è lo stato di efficienza energetica in un edificio, meno i suoi occupanti si preoccupano del consumo per il riscaldamento. Comunque, se proprio si vuole, anche una quota del 30% come “fisso” può andare bene. Un valore significativamente inferiore, come buona tecnica, non è assolutamente consigliabile.
Non ci fermiamo a ripetere che il fine ultimo della ripartizione delle spese secondo i consumi individuali è l’uso intelligente dell’energia, in questo caso per il riscaldamento e per l’acqua calda sanitaria. Questo non significa, come pensano in molti, che sia necessario trovare il calcolo perfetto per attribuire il costo reale di consumo al singolo. Infatti, come abbiamo visto sopra, semplicemente non è possibile, poiché le perdite, le trasmissioni di calore tra una unità immobiliare e l’altra, ecc.. non sono misurabili ma solo stimabili. Quindi la ripartizione dei costi secondo i consumi deve solo prevedere una “quota consumo” abbastanza alta per motivare il singolo al minor spreco possibile.
Dal 25 ottobre 2020 tutti gli impianti di contabilizzazione nuovi o in sostituzione devono essere leggibili da remoto. Mentre dal 1° gennaio 2027 dovranno esserlo tutti i sistemi esistenti. Dal 25 ottobre di quest’anno, i consumi rilevati dai dispositivi leggibili da remoto devono essere comunicati almeno 2 volte all’anno e, su richiesta, ogni trimestre. Dal 1°gennaio 2022 tali dati dovranno essere invece comunicati ogni mese.
Riguardo a questo il legislatore, non definendo precisamente cosa si intende per “leggibile da remoto” nel senso del D.Lgs., purtroppo sta creando qualche confusione.
La Direttiva Europea (EED II) definisce univocamente che “dispositivi leggibili da remoto” sono quelli che permettono le letture dei consumi senza accedere alle singole unità immobiliari. Ogni singolo Stato UE però può aggiungere condizioni, affinché un dispositivo debba essere considerato “leggibile da remoto” e quindi sottostare agli obblighi delle letture frequenti (al minimo semestrali dopo il 25 ottobre 2020 e poi mensili dal 1° gennaio 2022) che devono essere comunicate ai singoli utenti.
Ad esempio, sarebbe opportuno ed intelligente limitare la definizione di “leggibile da remoto” a quei sistemi che mandano i dati di consumo frequentemente a server centralizzati, cioè a quei sistemi che non necessitano che un operatore (mensilmente, tra poco più di un anno) si debba recare fisicamente presso l’edificio per scaricare i dati di consumo rilevati dai dispositivi (ripartitori, contatori per ACS, ecc..). Questa possibilità però non è stata colta dal governo italiano, nonostante fosse stato consigliato in tal senso da diverse parti anche istituzionali.
La mancanza di questa ulteriore precisazione ha però considerevoli conseguenze ad esempio per tutti quei condomini (decine e decine di migliaia in Italia) che negli ultimi anni hanno installato sistemi “walk-by”, che in Italia quindi sono considerati “leggibili da remoto” per definizione. I sistemi “walk-by” sono però concepiti per una sola lettura annuale. Il fatto che dal 1° gennaio 2022 un operatore debba recarsi fisicamente ogni mese presso l’edificio per scaricare le letture, implica necessariamente un costo aggiuntivo anche importante, e questo dovrebbe essere palese a chiunque. L’alternativa sarebbe, dove si può, l’installazione di centraline che trasmettono i dati almeno mensilmente a un server aziendale.
Qualsiasi soluzione si scelga, per tutti – e sono tantissimi, gli impianti esistenti dove non si trasmettono già i dati di consumo a server centralizzati – si chiede comunque di sostenere ulteriori costi anche considerevoli.
Ricordiamo anche che la comunicazione mensile dei dati di consumo è un obbligo di legge che non può essere cancellato con una decisione assembleare. Il responsabile che deve assicurare l’invio di questi dati mensilmente è l’amministratore.
Speriamo che ben presto il legislatore intervenga definendo non leggibili da remoto, nel senso della Direttiva, i dispositivi leggibili solo con sistemi “walk-by”, evitando così ulteriori esborsi per la contabilizzazione di impianti esistenti.