[A cura di Hans Paul Griesser – pres. naz. ANCCA] Ridurre i consumi inutili di energia per difendere l’ambiente, far risparmiare i cittadini ed abituare tutti ad una gestione responsabile e consapevole dell’energia mediante la contabilizzazione individuale: sono questi gli obiettivi della Direttiva europea 27/2012 sull’efficienza energetica, che l’Italia ha recepito con il decreto legislativo 102/2014 e integrato con il 141/2016.
La normativa prescrive l’obbligo installare in ogni edificio polifunzionale (condominio), esistente o di nuova costruzione, con riscaldamento centralizzato o collegato al teleriscaldamento, un sistema di contabilizzazione per la suddivisione delle spese secondo i consumi individuali. Per i proprietari delle unità immobiliari e per i condòmini che non installano questi dispositivi le singole Regioni, competenti in materia, applicano delle sanzioni che vanno da 500 a 2500 euro.
In base all’esperienza di altri Paesi Europei, dove la contabilizzazione esiste da anni, e sulla scorta di approfonditi studi tecnici, il risparmio medio che si può conseguire con la contabilizzazione individuale è stimato intorno al 20%.
In Italia, vista la configurazione prevalente “verticale” degli impianti di riscaldamento degli edifici esistenti, lo strumento predominante per il rilievo dei consumi è il ripartitore montato su ogni singolo radiatore. È uno strumento già in uso nei condomini di tutta Europa e gli studi dimostrano si tratta di un sistema del tutto affidabile per portare ad una ripartizione dei costi equa ed attendibile. Purtroppo però, questo vale soltanto se installato in modo professionale, seguendo accuratamente le istruzioni tecniche. Inoltre, visto che il singolo ripartitore “non sa” su che tipo di radiatore è montato, bisogna compensare le unità che sta rilevando con dei fattori di correzione, chiamati fattori “K”. Questo fattore esprime la potenza nominale del radiatore e l’accoppiamento termico tra il sensore di temperatura del ripartitore e la superficie del radiatore ed è normale che per l’utente non esperto sia difficile controllarne la correttezza. Negligenze su questi due aspetti possono portare a grosse imprecisioni nel rilevamento dei consumi e, di conseguenza, costare caro all’utente.
Per tutelarsi, è fondamentale rivolgersi a ditte professionali abilitate e con esperienza, facendosi rilasciare sempre una dichiarazione di conformità, sia per l’installazione degli apparecchi che per il calcolo dei coefficienti di correzione.
Ad ogni modo, un primo controllo può essere effettuato anche da persone non esperte: se il ripartitore non è montato al centro del radiatore, ad un’altezza del 75%, è molto probabile che il ripartitore non sia installato a norma. E ancora, se è stato incollato sul radiatore, sicuramente non è stato collegato a regola d’arte.
Rispetto ai coefficienti “K”, invece, una verifica della loro correttezza può essere fatta tenendo presente che il fattore, per due stessi tipi di radiatori, di uguali dimensioni, deve essere uguale. Quindi un radiatore di doppie dimensioni deve avere un fattore K doppio e così via
La tabella mostra le differenze tra i vecchi millesimi e i nuovi, calcolati in base al fabbisogno termico secondo la Norma UNI 10200. Possiamo notare come gli appartamenti posizionati all’ultimo piano e quelli al pianterreno sono quelli che pagano molto di più come quota involontaria, mentre quelli situati ai piani intermedi pagano di meno in confronto alla ripartizione con i vecchi millesimi.
Si fa presente che il condominio preso come esempio è un edificio non di vecchissima costruzione. Quindi ci sono casi frequenti dove queste differenze sono di gran lunga maggiori!
La normativa tecnica UNI 10200, caso unico in Europa, prevede che i cosiddetti “costi fissi” vengano ripartiti, non in base ai millesimi di riscaldamento (usati per la ripartizione dei costi secondo le superfici riscaldati, le potenze installate o una media dei due), ma secondo i fabbisogni termici teorici che ogni unità abitativa possiede. In altre parole, il fabbisogno è quello che il progettista, quando si costruisce l’impianto di riscaldamento, calcola per determinare le potenze dei radiatori necessarie da installare nelle singole stanze, per ottenere una temperatura di 20°C.
Di conseguenza un appartamento situato sotto un tetto non coibentato necessita di un fabbisogno di gran lunga maggiore rispetto ad un appartamento situato in mezzo al condominio, circondato da altri alloggi. Lo stesso vale peraltro per un appartamento situato al pianterreno, con cantine e garage sottostanti non riscaldati.
È ovvio (e forse anche giusto) che gli appartamenti situati in una posizione “energicamente sfavorevole” paghino molto di più la “quota consumo”, e possono intervenire con accorgimenti di efficienza energetica (coibentazione dell’appartamento, nuovi infissi, ecc.) oppure semplicemente riscaldando meno. Invece, sulla quota di “consumi involontari” basata sui millesimi di fabbisogno previsti dalla UNI 10200, non vi è possibilità d‘intervento diretto. Nemmeno una coibentazione del proprio appartamento o l’installazione di nuovi infissi ultramoderni incide minimamente sulla sua quota fissa da pagare, i millesimi secondo i fabbisogni rimangono gli stessi e, dunque, i proprietari vengono penalizzati pesantemente, due volte.
Nella figura si vede un edificio e il conteggio reale per 38 unità immobiliari. Valori normalizzati (a unità con le stesse dimensioni) per permettere un facile confronto.
La differenza nel conteggio secondo la UNI 10200 per le u.i. 26 e 27 è causato dalla diversa ombreggiatura (edificio vicino anteposto al sud) che si deve considerare nei calcoli secondo la UNI TS 11300 alla quale la UNI 10200 fa diretto riferimento. La u.i. 17 è sopra un pilotis.
Nell’anno considerato in questo condominio la quota involontaria era il 19,397% sui costi totali per il riscaldamento. Il metodo UNI 10200 prevede che questa quota vari ogni anno. In pratica, meno il condominio consuma, più incide tale quota in percentuale.
Come si vede, la ripartizione dei costi cosiddetti fissi, che ciascun condominio deve pagare indipendentemente dai suoi consumi reali, basati sui millesimi di fabbisogno teorico dell’appartamento, non solo sono di assoluta iniquità, ma sono anche deleteri e totalmente controproducenti al fine di motivare all’efficientamento energetico. Infatti, le utenze che pagano poco anche come quota fissa, non intenderanno investire in lavori di efficientamento energetico sulle parti comuni. Di fatto un metodo di calcolo che, in pratica, toglie alla maggioranza dell’assemblea condominiale la motivazione la riqualificazione energetica dell’edificio. Questo è anche in chiaro e palese contrasto con l’art. 19 della Direttiva Europea 2012/27/UE (“split incentives“) che obbliga gli Stati ad incentivare accorgimenti sulle parti comuni al fine del risparmio energetico (appunto, coibentazione tetto)
Come qualsiasi non addetto ai lavori capirà, esiste un errore fondamentale nel metodo previsto dalla norma UNI 10200, che genera grande malcontento per una minoranza di condòmini che abitano nelle posizioni energeticamente sfavorevoli, ed è responsabile di un gran numero di contenziosi nelle assemblee condominiali.
Al momento non rimane altro che sperare nel buon senso degli utenti e che optino a maggioranza di derogare alla UNI 10200, almeno per quanto riguarda i millesimi calcolati sui fabbisogni. Ciò è possibile, solitamente, facendosi asseverare attraverso una perizia, che nel condominio ci sono differenze di fabbisogno termico maggiori del 50%.
Poi bisogna sperare che il legislatore intervenga tempestivamente con un altro decreto correttivo, che prevede che:
Infine, è auspicabile un intervento dell’ARERA e/o ENEA, affinché fissi prezzi di riferimento realistici e non fantasiosi, relativamente ai costi della contabilizzazione, con sanzioni verso coloro che redigono relazioni tecniche che si discostano da tali parametri.