[A cura di: ing. Fabrizio Mario Vinardi, Segretario Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino. Si ringrazia: l’ing. Aldo Celano per il contributo in materia di emergenza sanitaria Covid-19]
La Scienza sembra non avere più dubbi: tutti i nostri progenitori sono nati nella zona tra il Corno d’Africa e la regione dei grandi laghi, al confine tra Tanzania e Kenya.
È proprio in questa “culla” dell’umanità che alcuni milioni di anni or sono comparvero i primi ominidi e, in epoca molto più recente, la specie da cui discendiamo direttamente (homo sapiens sapiens), indicativamente 200.000 anni fa, uno più uno meno.
Secondo i paleoantropologi, tra le condizioni fondamentali che favorirono lo sviluppo della nostra specie proprio in quelle regioni sono da annoverare il microclima temperato e l’abbondanza di acqua, che insieme contribuirono alla crescita di una vegetazione rigogliosa (vari ritrovamenti testimoniano come, all’epoca, il deserto del Sahara fosse una lussureggiante distesa verde); non vi sono ovviamente dubbi sul fatto che l’aria che respiravano i nostri antenati fosse priva degli inquinamenti attuali.
Già queste considerazioni basterebbero per far comprendere l’importanza del microclima, soprattutto se si considera che – dal punto di vista evolutivo – il nostro organismo non è poi così diverso da quello dei primi sapiens, anche se le abitudini sono profondamente cambiate: il costume “adamitico” ha lasciato il posto ad abiti che rivestono la maggior parte del corpo, l’attività fisica dell’uomo primitivo (un cacciatore-raccoglitore che per cercare cibo percorreva una media di oltre 10 chilometri al giorno) ha lasciato il posto a una vita tutto sommato sedentaria, la nostra alimentazione è profondamente variata, ecc..
E solo alcune di queste diverse abitudini sono necessitate (ad esempio, oggi abitiamo regioni del pianeta il cui clima sarebbe proibitivo senza indumenti), mentre altre sono dettate dallo stile di vita “moderno” e dalle convenzioni sociali.
La definizione di “microclima” non è univoca, ma tutti concordano che il fine ultimo delle condizioni microclimatiche sia il benessere della persona, che si raggiunge attraverso la “qualità” degli ambienti in cui si vive/lavora, che dipende direttamente da due fattori principali:
Analizziamo insieme questi fattori.
Secondo il Ministero della Salute le condizioni microclimatiche ottimali dell’ambiente in cui vive un adulto in salute, che svolge attività fisica moderata (ossia la vita sedentaria di cui si diceva), con abbigliamento adeguato e in assenza di irraggiamento solare, sono le seguenti [1]:
Stagione | Temperatura aria [°C] | Umidità relativa [%] | Velocità aria [m/s] |
---|---|---|---|
Inverno | 19-22 | 40-50 | 0,01-0,1 |
Estate | 24-26 | 50-60 | 0,1-0,2 |
E questo con buona pace sia delle persone freddolose sia di quelle sempre accaldate.
Naturalmente, è altrettanto importante che l’aria che respiriamo sia di buona “qualità”: in questa sede tratteremo solamente l’inquinamento atmosferico (quindi, tralasciando altre tipologie di immissioni, quali quelle di natura acustica, elettromagnetica, ecc.) nell’ambiente indoor, su cui possiamo quasi sempre agire direttamente e anche con buona efficacia, a differenza del più vasto ambiente outdoor.
Iniziamo col dire che in natura l’aria è una miscela di gas composta, in volume, per quasi l’80% da azoto (un gas inerte, che tuttavia non supporta la respirazione) e per la restante parte da ossigeno, oltre a percentuali minori di altri gas (soprattutto argon e anidride carbonica) e pulviscolo atmosferico.
L’inquinamento dell’aria viene normalmente suddiviso sulla base degli agenti contaminanti:
Il primo consiglio è quello di limitare la generazione di inquinanti che “nascono” internamente all’ambiente stesso in cui si risiede.
Una parte degli inquinanti sono nocivi e non sono necessari (primo tra tutti il fumo, che oltre ad essere nocivo per inalazione, impregna tessuti, tendaggi, ecc.); altri sono a volte necessitati, ma se ne deve fare un utilizzo moderato e consapevole (ad esempio, le esalazioni dei prodotti chimici comunemente utilizzati per la pulizia e l’igiene, quali candeggina e ammoniaca); altri ancora sono pressoché quotidiani, come i residui di tutte le combustioni domestiche, tipicamente quella dei fornelli per cucinare.
In genere, può essere considerato inquinante una fonte che altera la quantità di ossigeno presente nell’aria e necessario per la respirazione (ad esempio, caminetti aperti, bracieri, ecc.).
Infine, anche le attività metaboliche naturali comportano una alterazione della composizione dell’aria che respiriamo (la funzione principale dei polmoni è proprio quella di assorbire ossigeno dall’aria e rilasciare anidride carbonica).
Per ovviare alle problematiche appena descritte è importante che l’aria “viziata” venga periodicamente rinnovata con aria “pulita”: storicamente, il problema era trascurabile in quanto gli infissi avevano una limitatissima tenuta all’aria e, pertanto, vi era una continua aerazione e ricambio naturale, oltre al fatto che mediamente le abitazioni contenevano un volume d’aria maggiore (molte case d’epoca presentano un’altezza interna anche di 4 m o più).
Dando per scontato che le nostre attuali abitazioni rispettino i criteri minimi di legge tra la dimensione delle aperture e la superficie del locale, pari a 1/8 della superficie calpestabile e noti come “rapporti aeroilluminanti”, l’attuale attenzione alle problematiche di contenimento energetico ha portato a progettare e costruire infissi sempre più performanti, in modo particolare per la tenuta all’aria, circostanza che ha appunto come contraltare quella di richiedere un intervento manuale periodico per il ricambio d’aria.
Per ovviare anche al problema dei ricambi d’aria, da tempo sono diffusi gli impianti di ventilazione meccanica (che spesso assolvono anche a climatizzazione e condizionamento), che nell’accezione più moderna sono indicati con l’acronimo VMC – Ventilazione Meccanica Controllata.
Si tratta, come intuitivo, di impianti che estraggono l’aria interna esausta/viziata per espellerla all’esterno, al tempo stesso effettuando un “ricambio”, ossia immettendo aria esterna, opportunamente filtrata; gli impianti più performanti sono anche in grado, tramite opportuni scambiatori termici, di recuperare parte del calore dall’aria estratta e pre-riscaldare quella immessa, a tutto vantaggio delle generali prestazioni energetiche dell’edificio.
È anche possibile installare impianti VMC dotati di sensoristica varia: rilevatori di umidità (utili nei bagni e nelle cucine), che aumentano automaticamente il numero di ricambi in funzione della percentuale di umidità; rilevatori di anidride carbonica (CO2), utili se il numero di persone può variare sensibilmente in alcune condizioni (sale conferenze) oppure per la zona notte, eventualmente da accoppiare con rilevatori di presenza per avere un numero di ricambi diverso a seconda del numero di persone presenti.
Il vantaggio rispetto all’aerazione manuale è dunque su più fronti:
Gli impianti di VMC possono essere centralizzati in senso stretto (tipico dei grandi edifici, ad esempio i centri commerciali oppure gli ospedali) oppure autonomi della singola abitazione (si tratta sempre di un impianto centralizzato, rispetto all’abitazione o all’appartamento) oppure ancora decentralizzati e legati a un singolo vano, tipicamente il bagno.
Le regole per un corretto utilizzo della VMC sono semplicissime:
Praticamente tutte le nuove costruzioni sono ormai dotate di impianti VMC, per cui l’attenzione principale deve essere oggi portata negli interventi di ristrutturazione e recupero del patrimonio edilizio esistente, cercando il corretto compromesso tra budget, spazi disponibili (la VMC necessita ovviamente di canalizzazioni che raggiungano le varie stanze) e innegabili benefici in termini sia di microclima sia di risparmio energetico, affidandosi alla consulenza di un progettista esperto.
In questo periodo, in cui l’emergenza sanitaria in corso per l’epidemia Covid-19 ha riportato l’attenzione alla salute delle vie respiratorie, vediamo dal punto di vista tecnico quali accorgimenti si possono prendere per migliorare le condizioni ambientali.
Anzitutto, pur senza alcuna pretesa di validità medica e/o psicologica, vale la pena sottolineare come numerosi studi scientifici affermino come le emozioni positive e il “sentirsi bene” riescano a migliorare significativamente la risposta immunitaria, al contrario di stress, fatica e depressione.
Se il microclima del nostro ambiente è quello corretto (e, per di più, siamo consapevoli di aver agito in tal senso), certamente non solo ne gioverà il generale stato di benessere, ma potranno esserci positive ricadute anche sul sistema immunitario.
Inoltre, tra le pochissime cose positive di questo periodo di stop forzato delle attività, è da annoverare una drastica riduzione dell’inquinamento ambientale, facilmente percepibile nelle grandi città.
Per quanto concerne le abitazioni private, possiamo pensare in prima analisi a una suddivisione in:
a) aree non critiche (assenza di soggetti colpiti dal virus);
b) aree critiche a basso rischio (presenza di soggetti colpiti dall’infezione ma in buono stato di salute, che possono trascorrere la degenza a casa o di soggetti sotto osservazione poiché si teme possano essere stati infettati).
Quali precauzioni per la qualità dell’aria, in entrambi i casi valgono le norme di buona prassi igienica:
Il microclima ambientale formato dal corretto rapporto temperatura/umidità e dalla qualità dell’aria che respiriamo è fondamentale affinché anche la qualità della vita che viviamo sia definibile come “buona”.
Gli accorgimenti sono semplici e così riassumibili:
[1] È evidente che ogni ragionamento in materia di “grandi numeri” si può fare solo in termini di percentili, ossia trovare quella soluzione che “accontenta” un numero significativo di utenti, essendo virtualmente impossibile soddisfare l’intera popolazione, tenuto conto delle diversità di genere, età, corporatura, stile di vita, ecc.