[A cura di: Fabrizio Mario Vinardi, segretario Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino] Quante volte, camminando per strada, ci siamo chiesti: “Se cadesse qualcosa dall’alto e mi facessi male, di chi sarebbe la responsabilità? Potrei avere diritto ad un risarcimento?”.
Iniziava così un articolo scritto qualche tempo fa (si veda E se cade in strada un davanzale? Istruzioni e precauzioni), raccontando la (sfortunata) storia dei lavori di ristrutturazione della casa di Valentina, commissionati “chiavi in mano” all’impresa “Alfa”; del subappalto alla ditta “Beta” all’insaputa del committente; del davanzale caduto in strada durante la sostituzione di un infisso da parte di un artigiano cui l’azienda Beta aveva sub-subappaltato la posa; del passante colpito e del conseguente procedimento penale per lesioni colpose (art. 590 cod. pen., che prevede nei casi più gravi fino a due anni di reclusione).
Le indagini condotte dalla Procura della Repubblica accertavano come l’omessa nomina del Coordinatore Sicurezza da parte dell’ignara Valentina non fosse in nesso di causa con l’evento, frase di sapore giuridico che, tradotta in termini semplici, diventa “non vi è alcuna relazione tra l’evento dannoso, ossia la caduta del davanzale, e l’errore di comportamento di Valentina, che non aveva provveduto a nominare il Coordinatore Sicurezza”.
Secondo la magistratura penale l’interruzione di questo nesso di causa sta nel fatto che le lavorazioni eseguite dall’impresa principale Alfa (una modesta ristrutturazione interna) non erano tali da aver potuto creare le condizioni per il distacco del davanzale (ad esempio, per propagazione di vibrazioni dovute all’impiego di martello pneumatico) durante la fase di lavoro in cui era intervenuta la ditta Beta, ossia il momento in cui l’eventuale Coordinatore avrebbe dovuto svolgere la propria attività principale.
Pertanto la fase penale della vicenda si concludeva senza alcuna condanna per Valentina, che comunque si era vista costretta ad un esborso in denaro tutt’altro che modesto per la propria difesa e la urgente messa in sicurezza del cantiere.
Come era prevedibile, il malcapitato pedone chiedeva il ristoro per le lesioni patite, rivolgendosi a un legale. I primi contatti per tentare una risoluzione stragiudiziale della lite non andavano a buon fine, non solo perché la richiesta risarcitoria era ritenuta eccessiva, ma principalmente perché risultava difficile poter trovare un accordo sul riparto della somma richiesta, a causa dell’elevato numero di potenziali controparti (Valentina, l’impresa Alfa, l’impresa Beta, l’artigiano, ecc.).
A circa un anno di distanza dai fatti iniziava così la causa civile, che per la parte tecnica vedeva la nomina di due distinte CTU:
Il CTU nominato per l’analisi ricostruttiva segnalava al giudice che:
“Nei giorni precedenti il sinistro, l’immobile era stato oggetto di lavori da parte dell’impresa ALFA anche sul muro della finestra in esame.
Conseguentemente, le figure coinvolte nell’evento sono:
Il CTU proseguiva con indicazioni, sostanzialmente recepite dal giudice, secondo cui non emergevano responsabilità a carico dei seguenti soggetti:
Di contro, il CTU riconosceva responsabilità in capo:
Il giudice, poi, riteneva Valentina non responsabile né per culpa in eligendo (in astratto legata a una errata valutazione nell’affidarsi all’impresa ALFA) per “assenza di elementi tali da determinare un giudizio di consapevolezza di Valentina nella scelta dell’appaltatore (la cui inidoneità non può essere automaticamente dedotta dall’accaduto)”, né per culpa in vigilando (il committente ha l’obbligo di vigilare sull’andamento dei lavori), in quanto il dovere di vigilanza competeva, semmai, al direttore dei lavori formalmente nominato (ma non citato in causa).
La sentenza di I grado, non appellata, a fronte di una richiesta per danni patrimoniali e non patrimoniali dell’ordine dei 70.000 euro decideva, alla luce delle risultanze della CTU medico-legale, per un risarcimento di € 55.000 in favore del pedone, ponendo tale onere a carico esclusivo dell’impresa ALFA, che a meno delle franchigie veniva manlevata dalla propria Compagnia di assicurazioni vista la presenza di idonea polizza RC.
Le spese di procedura e quelle legali delle parti vittoriose, complessivamente ammontanti all’ordine di grandezza di 60.000 euro, seguivano la soccombenza e venivano quindi corrisposte dalla Compagnia assicuratrice.
In chiusura, va detto che la vicenda sin qui ricostruita deve essere ritenuta un caso particolare, poiché il giudice civile non ha avuto la possibilità di valutare le eventuali co-responsabilità dei soggetti non evocati in giudizio, quali ad esempio il condominio (che, in astratto, poteva essere riconosciuto colpevole di non aver manutenuto da molti anni la facciata), il direttore dei lavori (per non aver vigilato sui lavori) e l’artigiano Bianchi (l’unico ad aver operato direttamente sul davanzale caduto).
Quali insegnamenti si possono trarre dall’epilogo civile di una vicenda con mille sfaccettature come quella di Valentina?