[A cura di: ing. Fabrizio Mario Vinardi, consigliere segretario Ordine Ingegneri prov. di Torino] Nel campo della ristrutturazione edilizia è bene (anzi, è necessario!) che il committente acquisisca quante più informazioni possibili su dimensioni, struttura, capacità tecniche, solidità patrimoniale/finanziaria, dell’impresa a cui sta per affidare la costruzione o ristrutturazione della propria casa. Quale valida alternativa, il committente potrebbe affidarsi ad un professionista, che sicuramente potrà meglio valutare queste informazioni e correttamente consigliare la scelta dell’impresa edile.
Dopo aver selezionato l’impresa appaltatrice, il committente dovrà stipulare un contratto, che – nonostante non sia un obbligo di legge – è bene sia in forma scritta e, magari, abbia quale allegato anche un capitolato lavori e quantomeno una previsione temporale con alcune milestone, di modo che anche il committente possa con facilità verificare se si stanno accumulando ritardi.
Sebbene, infatti, le ristrutturazioni basate su accordi verbali siano più frequenti di quanto si possa credere, nel malaugurato caso scoppi una vertenza sarà piuttosto difficile, tanto per il committente quanto per l’impresario, dimostrare l’esatto contenuto di un patto verbale.
Il nostro protagonista, Pasquale, decide di far ristrutturare la vecchia casa di famiglia, un piccolo immobile a carattere rurale, realizzato con tecnica tradizionale in mattoni e malta, di due piani f.t., da tempo non più manutenuto. Si affida pertanto ad un progettista di zona, che predispone un progetto di risanamento igienico edilizio con cambio di destinazione d’uso, da fabbricato rurale a civile abitazione.
Al momento di scegliere un impresario, sempre di zona, Pasquale decide di affidarsi alla ditta Alfa, che redige più preventivi, nessuno dei quali reca però in calce la firma per accettazione di Pasquale. Il “vero” contratto di appalto risulta redatto nella forma scritta, ma è tutt’altro che formale: si tratta, infatti, di una scrittura privata manoscritta in cantiere, priva di data, che riporta l’importo opere pattuito in € 46.000 e la seguente descrizione dei lavori: “Fabbricato da fondazioni a tetto rustico – tramezzi interni – [voce illeggibile] – copertura in tegole portoghesi – marciapiede”.
Maggior attenzione viene posto alle modalità di pagamento, così concordate:
Il nostro Pasquale, dopo circa un mese e mezzo dall’inizio lavori, ritenendo che gli stessi stiano andando a rilento e non sicuro della qualità della ristrutturazione, mi affida l’incarico di verificare “se l’andamento opere sia a regola d’arte”, dato che il progettista, ora nominato direttore dei lavori, è “piuttosto assente”, secondo Pasquale.
Dopo un sopralluogo in cantiere, nel quale realizzo ampio rilievo fotografico, posso tranquillizzare Pasquale: i lavori sono effettivamente in modesto ritardo, ma il titolare dell’impresa Alfa (unica persona presente in cantiere) rassicura che darà precedenza a questo cantiere; dal punto di vista della qualità del lavoro svolto, le demolizioni appaiono eseguite senza fare ricorso a mezzi meccanici e le (poche) opere visibili sono state dignitosamente eseguite.
Purtroppo, dopo pochi mesi Pasquale mi prega di tornare sul posto, dicendomi che l’impresa Alfa ha abbandonato il cantiere e il titolare, per il tramite di un legale di fiducia, chiede l’immediato saldo della residua somma di € 7.000, così giustificati: € 1.000 quale saldo del 5° acconto, € 2.500 quale pagamento del 6° acconto, € 2.500 quale saldo finale, ulteriori € 1.000 per non meglio precisate “opere extra capitolato”, il tutto oltre a IVA 22%.
Peccato che l’opera sia tutt’altro che ultimata, senza contare che – secondo quanto riferito da Pasquale – il prezzo è stato pattuito “IVA compresa”, che peraltro è quella agevolata al 10% per le ristrutturazioni edilizie, non quella ordinaria al 22%.
Si rende a questo punto necessario correre ai ripari: contatto con urgenza il DL e gli chiedo di invitare l’impresa Alfa in cantiere per redigere in contraddittorio un Verbale di stato di consistenza dell’opera (che è una descrizione analitica dello stato dei luoghi, corredata da rilievi fotografici, finalizzata a redigere la stima dei lavori effettivamente eseguiti ad una certa data). L’impresa Alfa, benché formalmente invitata al sopralluogo, non si presenta; di concerto col DL, decidiamo di rinviare di qualche giorno e tramite il legale di Pasquale viene inviata formale diffida all’impresa Alfa ad essere presente.
Il sopralluogo viene pertanto eseguito alla presenza, oltre che del sottoscritto in qualità di Ingegnere Forense che si occuperà della controversia, del DL, del nuovo impresario (che deve redigere preventivo per l’ultimazione dell’opera) e, per mero scrupolo, di due testimoni estranei alla vicenda: la vicina di casa (che condivide con Pasquale la proprietà di un muro di separazione tra le proprietà, oggetto del 2° acconto) e il gestore della stazione di servizio che si trova dirimpetto.
Nello scambio epistolare che segue tra i legali di Pasquale e dell’impresa Alfa, l’unica cosa che si riesce a chiarire immediatamente è che si deve applicare l’aliquota IVA agevolata 10%, mentre le restanti questioni saranno oggetto di specifica causa civile.
Nella CTU eseguita in corso di causa verrà accertato, sulla base del citato stato di consistenza e relativi rilievi fotografici e pur con tutte le difficoltà (ed approssimazioni) legate ad un contratto a dir poco lacunoso, che:
L’impresa Alfa verrà condannata a restituire a Pasquale complessivamente € 7.400, oltre al pagamento delle spese legali.
Dall’analisi del caso reale risulta chiaro: