[A cura di: Enrico Fenoglio, vice presidente Confappi] A determinate condizioni, la Legge regionale della Lombardia n. 12/2005 promuove il recupero a fini abitativi dei sottotetti, per limitare il consumo di suolo e favorire interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici. Si definiscono “sottotetti” i volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici su cui sia stato eseguito il rustico e completata la copertura.
Per il recupero di ogni singola unità immobiliare, deve essere assicurata l’altezza media ponderale di m. 2,40 (ridotta a m. 2,10 per i comuni posti a quote superiori a 600 metri di altitudine sul livello del mare).
L’art. 64, comma 1, della L.R. 12/2005 consente interventi che realizzino “nuovi volumi” (finestre, lucernari, abbaini e terrazzi) e, per gli edifici di altezza pari o inferiore al limite di altezza massima, modificazioni di altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, per assicurare i parametri di altezza stabiliti dall’art. 63.
Tuttavia “all’interno dei centri storici e dei nuclei di antica formazione (NAF) deve essere assicurato il rispetto dei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico; in assenza di limiti, l’altezza massima deve intendersi pari all’esistente”.
Ma cosa si intende per rispetto dei limiti di altezza massima degli edifici? In proposito, il TAR Milano, Sez. II, in due sentenze (n. 3120/2014 e n. 46/2018), offre un’interpretazione piuttosto rigorosa: l’altezza esistente non può coincidere con quella massima raggiunta dall’edificio nella sua parte più elevata, bensì con quella della costruzione nelle sue singole parti. Perciò, il recupero di un sottotetto in zona centro o in nuclei di antica formazione, mediante realizzazione di una nuova copertura “alla francese”, che si è risolta in una sopraelevazione del colmo esistente fino all’apice dell’edificio, non può essere considerata legittima, perché non rispetta il limite dell’altezza massima. In zona centro storico o NAF, insomma, la sagoma dell’edificio e lo sviluppo altimetrico originario non possono essere modificati per incrementare il volume.
Il TAR – dando ragione all’amministrazione comunale – ha respinto il ricorso dei condòmini, non potendo loro sostenere che l’intervento non determini il superamento dell’altezza massima dell’edificio condominiale. Infatti, la prevista sostituzione dell’attuale copertura con una nuova “alla francese”, per uniformare “due falde disallineate”, contrasta con il divieto posto dall’art. 64. In particolare, non può essere condiviso che “l’altezza dell’edificio, definita come disposto dall’art. 4.8 del PGT vigente, sia da calcolare in riferimento all’intradosso della soletta del piano sottotetto abitabile”. Per la sentenza del TAR del 2018, quindi, la modifica dell’andamento altimetrico dell’edificio è sempre vietata in zona centro storico o NAF.
In proposito – continua il TAR Milano nella sentenza 46 del 2018 – non può invocarsi l’applicazione dell’art. 4 delle norme di attuazione del piano delle regole, quale indice di rispetto del parametro (“altezza esistente”), previsto dall’art. 64, comma 1, della L.R. 12/2005. La Sezione ha osservato come, in linea di principio, ai fini dell’interpretazione della disciplina regionale non sia applicabile la nozione di altezza risultante dagli elaborati di piano del comune di Milano, trattandosi di definizioni dettate con specifico riferimento alle disposizioni di un PGT che non prevede l’indicazione di un’altezza massima. Ne discende che la portata precettiva dell’art. 64 della L.R. 12/2005 (per il quale, “in assenza di limiti, l’altezza massima deve intendersi pari all’esistente”) deve essere ricostruita in via autonoma.
Nella citata pronuncia si è prospettato che tale previsione si presti a due possibili opzioni interpretative. Nella prima, l’altezza esistente deve essere riferita alla quota più alta raggiunta dall’edificio in cui si colloca il sottotetto da recuperare. La seconda può essere interpretata come volta a vietare qualunque modifica dell’altezza dell’edificio nelle sue singole parti. Con la prima interpretazione (tesi dei ricorrenti) si arriverebbe alla conclusione che, dove singole parti di uno stesso edificio presentino altezze diverse, le porzioni di sottotetto di quota inferiore potrebbero essere elevate fino a raggiungere l’altezza della porzione di quota maggiore. Con la seconda (dell’amministrazione comunale), qualunque modificazione dell’altezza del sottotetto da recuperare è vietata.
Il TAR ha chiarito che la locuzione “altezza massima esistente” è riferita al colmo della copertura. Il tenore letterale della disposizione induce a ritenere che l’altezza esistente debba coincidere con quella della costruzione nelle sue singole parti, dovendosi considerare che la ratio della disposizione normativa regionale risieda nella finalità di assicurare la conservazione dell’esistente, a presidio della possibile alterazione del profilo architettonico nelle zone di particolare pregio non regolate da previsioni comunali che fissino precise regole sulle altezze da rispettare. Il TAR ha concluso che il raccordo mediante una nuova copertura “alla francese”, che si è risolto in una sopraelevazione del colmo esistente fino all’apice dell’edificio, giungendo a pareggiare l’altezza dei sottotetti presuntivamente abitabili, è vietato.