[Fonte AnapiNews]
La sentenza 17557/14 della Cassazione ha fatto chiarezza sulla disciplina del pagamento dell’acqua condominiale. Il caso preso in esame dalla Cassazione è quello di un condominio di Milano. La Corte ha dichiarato illegittimo quanto votato a maggioranza dall’assemblea che ripartiva le spese per l’acqua potabile in base al numero dei residenti negli interni delle singole unità abitative dello stabile esonerando dal pagamento, quindi, le unità abitative in cui non risiedeva nessuno. Secondo i Giudici “…le spese relative al consumo dell’acqua devono essere ripartite in base all’effettivo consumo se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche”, altrimenti il criterio per dividere le spese è quello indicato dal primo comma dell’articolo 1123 del C.C., vale a dire in base alla tabella millesimale. Se si contraddice questo articolo del Codice Civile e, quindi si esonerano dal pagamento delle spese idriche gli appartamenti/locali non abitati o sfitti, allora si vìola il principio di ripartizione proporzionale stabilito dal Codice. In sostanza la condicio sine qua non per dividere le spese idriche del condominio in base alle persone residenti nelle singole unità abitative è l’assenso di tutti i proprietari dell’immobile. Solo in questo caso si può derogare all’art. 1123 C.C., ma la sola maggioranza dell’assemblea, per quanto ampia, renderebbe nulla la delibera stessa. Bisogna considerare, inoltre, che la ripartizione in base al numero di persone è un criterio impreciso perché è complicato conoscere con certezza i residenti effettivi nei vari alloggi.
Per evitare spiacevoli inconvenienti nella gestione delle spese e salvaguardare una risorsa di importanza essenziale come l’acqua e, quindi diminuirne gli sprechi, la Giurisprudenza ha scelto come soluzione al problema, il montaggio in ogni proprietà di un contatore.
Con la sentenza precedente, la n° 10895, la Corte di Cassazione ha dichiarato che l’assemblea di condominio può deliberare l’installazione dei contatori dell’acqua in ogni singola unità immobiliare, anche in contrasto con il Regolamento condominiale. Stando a queste disposizioni, è nella facoltà dell’assemblea condominiale gestire le cose e i servizi comuni «in modo dinamico», ossia eliminando gli sprechi, arrivando a dismettere alcuni beni comuni, nonostante la disciplina del Regolamento condominiale sia contrastante.
Le motivazioni che hanno spinto la Corte di Cassazione ad esprimersi in questo modo vanno viste alla luce di quanto enunciato dalla Legge n° 36 del 1994, «Disposizioni in materia di risorse idriche» che, all’articolo 5, al fine di abbassare i consumi di acqua e farne un uso più razionalizzato, stabilisce ai capi C e D:
c) installazione di contatori in ogni singola unità abitativa nonché di contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano;
d) diffusione dei metodi e delle apparecchiature per il risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario ed agricolo.
La tutela della risorsa idrica è ribadita due anni più tardi nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, DPCM 4 marzo, poi ripreso dal Decreto legislativo 152/2006 che demanda alle Regioni l’obbligo di installare in ogni unità abitativa i contatori per la ripartizione dell’acqua.
Solo avendo ben chiaro questo excursus è possibile cogliere lo spirito della legge a cui fanno riferimento la sentenze 17557 e 10895 del 2014.
Va precisato che i modi d’uso e il funzionamento dei servizi condominiali sono attribuiti all’assemblea condominiale dall’articolo 1135 del Codice Civile, quindi nel caso specifico i condòmini possono optare per i contatori in ogni singola unità abitativa, è necessario avere solamente la maggioranza semplice, vale a dire un terzo dei condòmini che possegga almeno un terzo del valore millesimale in quanto la modifica dell’impianto dell’acqua è volta a un miglior godimento e non rappresenta un’innovazione ai sensi dell’articolo 1120 del Codice Civile.