“Confesercenti torna condivisibilmente a denunciare il disastro che
l’eccesso di tassazione sugli immobili non abitativi locati sta determinando
nelle attività commerciali”. A denunciarlo è Confedilizia, che sottolinea
l’altra faccia della medaglia riguardo l’andamento del mercato degli immobili
commerciali. In particolare, stime di Confedilizia dimostrano come il
proprietario di un negozio affittato veda eroso dalle imposte statali e locali
(Irpef, addizionali comunale e regionale Irpef, Imu, Tasi, imposte di registro
e di bollo) anche l’80 per cento del canone di locazione nominalmente
percepito, senza contare le spese. Comprensibile, quindi, che l’offerta di
questa tipologia di immobili sia cresciuta, e con essa anche il numero di
compravendite, complici prezzi divenuti ancor più appetibili in un momento in
cui il mercato pare essersi lievemente ripreso.
Come sottolinea la storica associazione della proprietà, “è bene
ricordare che tutto ciò è la conseguenza di due misure varate sotto il Governo
Monti, ma alle quali i successivi Governi non hanno posto rimedio: da un lato,
l’aumento del 62 per cento delle rendite catastali ai fini Imu (e poi Tasi) e,
dall’altro, la riduzione al 5 per cento della quota di spese deducibili dal
reddito da parte dei proprietari-locatori (rispetto ad un onere stimabile nel
30 per cento). Se non si interverrà urgentemente con un’azione di detassazione
del settore, il commercio non potrà mai risollevarsi e la desertificazione
delle nostre città non si fermerà, continuando a produrre conseguenze
gravissime anche in termini di degrado e di riduzione della sicurezza dei
cittadini”.
ESEMPIO
Per rendere più immediata la comprensione del “fenomeno fiscale”
denunciato, Confedilizia fa, quindi, un esempio concreto afferente al caso di
un negozio realmente esistente.
Ubicazione: Roma, Via
degli Zingari 39 – Foglio 493, Particella 261, Sub 5 e 23. Immobili C1 e C2
(negozio e sottonegozio), con rendite catastali pari a 2.685,58 e 1.142,04
euro.
Canone annuo complessivo:
11.709,24 euro.
Scaglione di reddito: oltre
75mila euro.
Irpef (relativa al solo immobile): 4.783 euro (aliquota 43%).
Addizionale regionale Irpef: 259
euro (aliquota 2,33%).
Addizionale comunale Irpef:
100 euro (aliquota 0,9%).
Imu: 3.678 euro.
Tasi: 222 euro.
Imposte di registro e di bollo: 133 euro.
Totale: 9.175 euro (pari
al 78,35% del canone percepito).
ANALISI
Lo schema rappresentato da Confedilizia illustra il peso
dell’imposizione fiscale a carico dei proprietari che danno in locazione un
immobile non abitativo (negozio, ufficio ecc.). I numeri mostrano con chiarezza
come le imposte, statali e locali (ben sette), raggiungano un livello tale da
erodere (come accade nel caso dell’immobile di Roma di cui si sono stati
forniti tutti gli estremi, verificabili) fino all’80% del canone di locazione.
Percentuale che, peraltro, arriva a sfiorare il 100% se alle tasse si
aggiungono le spese (di manutenzione, assicurative ecc.) alle quali il
proprietario-locatore deve comunque far fronte. Il tutto, ovviamente, senza
nemmeno considerare il rischio morosità, che se è alto nel comparto abitativo,
lo è diventato tanto più in quello non residenziale, complici la crisi
economica che ha attanagliato tanti comparti professionali e commerciali e le
conseguenti difficoltà da parte dei titolari dei contratti ad onorare i canoni
mensili di locazione.
Come rimarca ancora Confedilizia, “tale spropositato livello di
tassazione è dovuto, a livello locale, all’introduzione dell’Imu e della Tasi
e, a livello statale (non essendo applicabile la cedolare secca) a una
imposizione Irpef che di fatto colpisce persino le spese, essendo queste
considerate – come deduzione fiscale – nella irrisoria misura forfetaria del 5%
a partire dal 2013 (rispetto alla quota del 15%, frutto di una precedente
diminuzione dell’originaria misura del 25%).