[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – presidente centro studi Confedilizia]
I Comuni hanno allargato – ed alcuni di essi continuano ancora ad allargare – a dismisura, negli strumenti urbanistici, le aree qualificabili come fabbricabili e, in più, stabiliscono valori assolutamente inadeguati rispetto all’attuale inesistente mercato di tali aree. Ed anche se i valori attribuiti a queste ultime non sono vincolanti, avendo come scopo quello di limitare il potere di accertamento delle amministrazioni locali, ciò innesca, comunque, contenziosi infiniti. Ma gli adeguamenti (a scopo di cassa) non giustificati da aumento di popolazione possono essere impugnati al TAR o anche solo evitati con questa minaccia (a volte, basta).
La Confedilizia ha condotto un’indagine su un campione di Comuni da cui è emerso che questi ultimi, pur ammettendo nelle loro determinazioni che il mercato è fermo e il Paese è in crisi, non riducono i valori in questione, limitandosi al massimo a non aumentarli, come se non aumentare fosse di per sé un adeguamento all’attuale situazione di mercato: ma, ovviamente, così non è. Il che genera un’evidente ingiustizia con ciò che i proprietari delle aree fabbricabili sono chiamati a versare, a titolo di Imu e Tasi. Tanto più se si considera che mantenere fermi da più anni i valori delle aree edificabili significa ancorarli a livelli pre-crisi e, quindi, assolutamente fuori mercato, tali da essere solo un ricordo. Va ricordato, al proposito, che, ai sensi dell’art. 5, d.lgs. 504/’92, la base imponibile dell’Ici, e ora dell’Imu e della Tasi, è costituita dal valore degli immobili. Tale valore, con riferimento alle aree fabbricabili, è rappresentato da quello “venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione”, avuto riguardo ad una serie di condizioni come, ad esempio, la “zona territoriale di ubicazione”, l’”indice di edificabilità”, i “prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche”.