[A cura di: avv. Giovanni Carini – Uppi]
Con gli articoli 8-9 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23/2011, il legislatore aveva introdotto, nell’ambito della normativa della c.d. “cedolare secca”, una particolare sanzione fiscale stabilendo che: “ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina:
a) la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d’ufficio;
b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all’articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998;
c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell’aumento degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti”.
d) Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed al comma 8 del presente articolo si applicano anche ai casi in cui:
1) nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo;
2) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio.
La disciplina di cui ai commi 8 e 9 non si applica ove la registrazione sia effettuata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Tale norma, dunque, prevedeva, anche con riferimento ai contratti in corso ed in assenza della sanatoria prevista dall’ultima parte della norma, la possibilità di ottenere la imposizione di un contratto su delazione della parte conduttrice a diverse (ed in genere peggiorative) condizioni, rispetto a quelle pattuite, e precisamente la costituzione di ufficio (o “volontaria” ipotesi invero piuttosto remota) di un contratto ex novo della durata di 4 + 4 anni e ad un corrispettivo annuo pari a tre volte la rendita catastale.
Con sentenza del 14.03.2014, gli art. 8-9 del d.lgs 23/2011 sono stati dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale, per cui detta norma ha perso “ab origine” qualsivoglia efficacia. Senonché il legislatore, con successivo decreto legge 28.3.2014 n. 47, convertito con legge 23.5.2014 n. 80, pubblicato in G.U. n. 121 del 27.5.2014 ed entrato in vigore il giorno dopo, ossia il 28.5.2014, ha inteso adottare una specie di “gestione” dei normali effetti conseguenti ad una norma dichiarata incostituzionale, introducendo all’art. 5 comma 1 ter una sorta di protrazione degli effetti della norma dichiarata incostituzionale, stabilendo che restano salvi “sia gli effetti che i rapporti giuridici”, sorti sulla base dei “contratti di locazione” registrati secondo le procedure di cui alle richiamate norme (incostituzionali): “sono fatti salvi fino alla data del 31.12.2015 gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’art. 3 comma 8 e 9 del decreto legislativo 14.03.2011 n. 23”.
Ciò posto, in primo luogo, pur risultando piuttosto oscuro quali siano gli effetti ed i rapporti “prodottisi” sulla base del contratto di locazione ricostruito, dobbiamo immaginare che il legislatore abbia voluto procrastinare la possibilità, per i conduttori che avessero attivato la procedura “sanzionatoria”, di non subire immediatamente gli effetti della pronuncia di incostituzionalità, per cui occorre esaminare quali siano la portata e le conseguenze della “proroga” introdotta a seguito della denunzia formulata con la procedura di cui all’art. 3 d.lgs 23/2011. Premesso, infatti, che la sanzione di incostituzionalità, ha indubbiamente travolto la validità ed efficacia del contratto secondo lo schema ipotizzato dal legislatore nella norma abrogata dalla Corte Costituzionale (4+4 anni di durata ad un corrispettivo pari a tre volte la rendita catastale diviso 12), va correttamente interpretata la successiva norma definita di “salvaguardia” (art. 5 comma 1 ter D.L. 28.3.2014 n. 47), analizzandone la portata.
E, al riguardo vi è una prima considerazione. “Gli effetti ed i rapporti giuridici” relativi ai contratti di locazione registrati ricorrendo al procedimento del d.lgs. 23/2011, sono “fatti salvi” per un tempo limitato, e cioè fino al 31.12.2015, essendo questo un dato estremamente chiaro perché letterale.
La norma è, invece, piuttosto ambigua laddove fa riferimento all’oggetto del “salvataggio”, ossia gli effetti ed i rapporti giuridici, sorti sulla base dei contratti di locazione, forzosamente imposti. In particolare, bisogna domandarsi se il legislatore abbia voluto prorogare il contratto in quanto tale, lasciandolo in vigore fino al 31.12.2015, oppure abbia inteso, più semplicemente, preservare il conduttore dal pagamento immediato degli oneri già maturati, per avere illegittimamente violato la pattuizione contrattuale originaria ma in maniera incolpevole, avendo fatto affidamento e (corretta) applicazione di una norma, poi dichiarata incostituzionale.
Delle due interpretazioni la seconda appare – a parere dello scrivente – indubbiamente più conforme ed in linea con il contenuto letterale e con la ratio della legge e, senz’altro ne fornisce una lettura costituzionalmente orientata (la norma in questione è già stata rimessa dal Tribunale di Napoli con ordinanza del Dr. Rosario Caiazzo del 18.06.2014, al vaglio della Corte Costituzionale).
Difatti, la disposizione prevede chiaramente e letteralmente, la salvezza degli effetti e rapporti già “prodotti e sorti”, al momento della sua entrata in vigore e non regolamenta affatto quelli che dovranno maturare successivamente, a seguito del venir meno della legge per la dichiarata incostituzionalità.
Ciò trova conforto anche nella ratio legis. È infatti evidente che chi aveva fatto ricorso al procedimento fidando sulla validità della originaria disposizione, poi cancellata in virtù del noto effetto retroattivo della statuizione costituzionale, si sarebbe trovato di punto in bianco in una situazione sensibilmente gravosa sia sotto il profilo abitativo, tenuto conto che la riduzione del canone, come è noto, comporta la risoluzione automatica del rapporto locativo per inadempimento, sia sotto l’aspetto economico, tenuto conto che effetto automatico della illecita autoriduzione del corrispettivo, è l’obbligo di pagamento immediato delle differenze già maturate. Ne consegue che, il legislatore, con la norma che egli stesso definisce di salvaguardia, ha inteso evitare che il conduttore incolpevole, potesse subire tutto di un colpo gli effetti della errata scelta legislativa, dichiarando la possibilità di porvi rimedio entro un termine che ha indicato per la fine dell’anno 2015.
Del resto, se avesse voluto prorogare l’efficacia del contratto per il futuro, egli avrebbe fatto espresso riferimento ad esso e non di certo agli effetti ed ai rapporti già maturati (in base a detto contratto) e ciò senza tener conto della circostanza, altrettanto rilevante, che il contratto o è valido o non lo è, per cui mai la durata di esso potrebbe essere temporalmente ridotta e procrastinata al 31.12.2015.
Tale lettura della norma in esame, è avallata anche dalla relazione introduttiva ad essa e, in particolare, da quanto riferito in Senato dal relatore in occasione della seduta pubblica di giovedì 8 maggio 2014 (la 243^): “La commissione ha introdotto infine una norma che salvaguarda fino al 31 dicembre 2015 gli effetti della legge contro gli affitti in nero che la Corte Costituzionale ha cancellato. Si è trovata una soluzione che non mette in discussione la sentenza, ma riconosce che coloro che ne hanno beneficiato oggi non possono subire le conseguenze di aver applicato la legge, e garantisce loro un tempo congruo per non dover sopportare un aggravio ingiusto delle proprie condizioni”.
Dunque dal semplice esame di tale relazione risulta confermato che:
– la norma produce i suoi effetti fino al 31.12.2015;
– essa ha lo scopo di “salvaguardare gli effetti della legge contro gli “affitti in nero” che la Corte Costituzionale avrebbe cancellato ma è comunque “una soluzione che non mette in discussione la sentenza”.
Questo passaggio merita una ulteriore considerazione. In primo luogo, in esso si fa espresso riferimento alla salvaguardia degli effetti pregressi ossia già maturati, ma nulla dispone per le vicende successive al prosieguo del rapporto, tant’è che conferma la piena validità della sentenza che non “mette in discussione”, volendo soltanto evitare che chi ha applicato la norma dichiarata illegittima, possa subire “un aggravio ingiusto delle proprie condizioni di vita”. In secondo luogo, la salvaguardia di cui trattasi non è definitiva ma è limitata, allo spirare del termine fissato per il 31.12.2015. Del resto, sempre nella relazione, si legge che si è voluto evitare un “aggravio ingiusto”. Nel caso in esame l’ingiustizia dell’aggravio non può di certo essere riferita all’applicazione della sentenza del Giudice delle leggi, che in quanto tale non può che possedere il crisma della legittimità, ma tuttalpiù, alle difficoltà in cui si viene a trovare il conduttore se deve in un’unica soluzione, provvedere a reintegrare la decurtazione di canone, accumulato in applicazione della norma incostituzionale. Pertanto tale ingiustizia sarebbe debellata, con la concessione di un congruo termine per sanare il debito pregresso maturato.
Al riguardo si ricorda che la Suprema Corte, nell’analizzare gli effetti delle pronunce della Corte Costituzionale, ha avuto modo di precisare che: “la retroattività delle pronunce di illegittimità costituzionale riguarda l’antigiuridicità delle norme investite, non più applicabili neanche ai rapporti pregressi non ancora “esauriti” ma non consente di configurare retroattivamente, quanto fittiziamente, la colpa del soggetto, che prima della declaratoria di incostituzionalità abbia conformato il proprio comportamento alle norme solo successivamente investite da quella declaratoria (così Cass. n. 355/2013; conf. Cass. n. 6744/1996: “l’efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma, se comporta che tali pronunzie abbiano effetto anche in ordine ai rapporto svoltisi precedentemente (eccettuati quelli definiti con sentenza passata in giudicato e le situazioni comunque definitivamente esaurite) non vale a far ritenere illecito il comportamento realizzato, anteriormente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente alla norma successivamente dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa” (Cass. n. 15879/2002; Cass. n. 941/1999; Cass. n. 194/1996).”
Quindi, tirando le fila del discorso, a partire dalla data di decisione della Corte Costituzionale, essendo venuta indubbiamente meno l’esigenza di tutela della “incolpevolezza” del conduttore, quest’ultimo è tenuto all’immediato pagamento del corrispettivo pieno mentre, per le differenze pregresse maturate dalla data della riduzione fino alla sentenza della Corte Costituzionale le stesse, pur essendo regolarmente dovute, potranno essere corrisposte entro la data del 31.12.2015.
Il locatore, pertanto, potrà agire per la risoluzione del contratto, qualora il conduttore – anche dopo la pronunzia della Corte Costituzionale – avesse continuato a corrispondere il canone ridotto per il periodo che va dalla pronuncia della Corte Costituzionale in poi, mentre per la differenze pregresse il giudizio di morosità potrà essere incardinato solo dopo lo spirare del termine dilatorio del 31.12.2015.
Tale chiave di lettura, a parere dello scrivente, fugherebbe anche il sospetto di illegittimità costituzionale sollevato dal Giudice con l’ordinanza di rimessione del 18.06.2014. Tuttavia è opportuno, comunque, precisare che la pendenza di tale questione non impedisce al locatore di potere agire per la risoluzione definitiva del contratto in ragione del mancato pagamento delle differenze di canone a partire dalla data di riduzione del corrispettivo fino all’attualità, posta in essere in attuazione del procedimento ex d.lgs. 23/2011. In tal caso dovrà formulare una specifica domanda, rinviandone la definizione alla pronuncia della Corte Costituzionale.